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La diffusa tendenza ad attribuire la responsabilità delle persecuzioni contro i Cristiani a certi imperatori ha fatto dimenticare che, nella maggior parte delle iniziative persecutorie, l’autorità imperiale si ridusse ad essere il braccio secolare di quel fanatismo religioso delle folle (si ricordi ad esempio la violenza tipica di alcune comunità di fanatici, in primis quella degli abitanti di Alessandria) e di una cultura essenzialmente intollerante: fatta eccezione per Nerone e Domiziano, infatti, si può dire che tutti gli imperatori si mostrarono convinti della innocuità politica dei Cristiani.
Tuttavia, nessun imperatore osò apertamente opporsi ai processi a carico dei Cristiani, poiché temevano di provocare reazioni ostili nell’opinione pubblica pagana.
E’ opportuno ricordare che l’ostilità nei confronti dei Cristiani sembra essersi diffusa molto presto fra i pagani, ma i primi a fomentarla furono i Giudei, che per primi avevano fatto pressione su Ponzio Pilato perché condannasse a morte Gesù.
In tal modo, si può dire che essi siano stati i primi promotori delle persecuzioni anticristiane, nelle quali persero la vita Stefano, Giacomo fratello di Giovanni e Giacomo minore. Tuttavia, queste iniziative furono stroncate dall’autorità imperiale, attraverso la destituzione di Caifa e di Ananos, i sommi sacerdoti responsabili delle morti rispettivamente di Stefano e Giacomo minore.
A questo punto, i Giudei preferirono modificare il proprio atteggiamento, abbandonando lo scontro diretto per fomentare invece i pregiudizi anticristiani tra i pagani, gettando proprio sui Cristiani la responsabilità dei disordini che - a causa principalmente dell’antisemitismo dei Greci - scoppiavano regolarmente in tutte le città dell’Impero ove la presenza dei Giudei fosse numericamente consistente.
Non erano, tuttavia, solo i Giudei a fomentare l’odio contro i Cristiani; esemplare in questo senso fu il tumulto scoppiato ad Efeso nel 53 contro il medesimo Paolo: i fabbricanti di souvenir che avevano trovato un mercato fiorente attorno al grande santuario di Artemide, ritenendo l’Apostolo una minaccia per i propri interessi economici, sobillarono la folla diffondendo la voce che l’Apostolo ed i suoi compagni fossero sacrileghi e bestemmiatori e Paolo riuscì a salvarsi solo per l’intervento delle autorità (At 19,23 ss).