Quantificare con esattezza le proporzioni numeriche con le più antiche comunità cristiane non è facile, perché i dati a disposizione sono troppo pochi e piuttosto generici e poi perché negare l’esistenza di numerose comunità cristiane nell’Impero prima del 313 riveste una grande importanza per avvalorare la tesi di chi vuole presentare il diffondersi della religione cristiana come l’effetto e non la causa della conversione di Costantino.
E’ bene precisare che le difficoltà di stima che riguardano i Cristiani riguardano anche, più in generale, la consistenza della popolazione nel mondo antico nel suo complesso.
La più antica testimonianza di qualche interesse si riferisce al periodo attorno al 110 ed è limitata ad una provincia asiatica dell’impero, la Bitinia, secondo la ben nota lettera inviata da Plinio il Giovane (Lettere X,96) a Traiano, in cui si dice che il Cristianesimo in quella regione era ormai diffuso non solo nelle città ma anche nelle campagne, presso tutti gli strati sociali.
Nel 202 Tertulliano (Apologetico 1,7), riferendosi a tutto l’impero, afferma esplicitamente che “tutto lo stato è assediato: sono nelle campagne, nei castelli, nelle case (oppure nelle “isole” : l’interpretazione del testo - insulae - è molto discussa)”.
Se può essere legittimo valutare la consistenza complessiva dei Cristiani in base al numero dei vescovi, è interessante osservare che, verso la metà del III secolo, nell’Italia centro-meridionale erano presenti circa un centinaio di vescovi.
In base a questi dati, la stima più prudente che è stata tratta valuta in 15-20.000 unità il numero complessivo dei Cristiani che vivevano in Roma alla metà del III secolo: è ormai accertato, infatti, che dopo il 150 i Cristiani costituivano ormai una minoranza numericamente tutt’altro che trascurabile, ampiamente diffusa in Oriente, nelle province africane e nell’Italia centro-meridionale.