La condizione di servo in Grecia
Presso la civiltà greca, era il termine doulos ad indicare lo schiavo. Il termine doulos indicava implicitamente una posizione di sottomissione, diversamente dal termine oiketes, anch'esso impiegato per designare lo schiavo, ma più che altro tenendo conto dei suoi rapporti con la società. Per il filosofo Platone e per Aristotele il termine doulos, schiavo, si deve applicare anche a chi - benchè magari sia uno della cerchia dei propri amici - non riesce a mantenersi da solo. Per Aristotele, in particolare, lo schiavo era uno "strumento animato", non troppo diverso dagli utensili di casa; anzi, era "strumento per gli strumenti" (Politica, 1253a). Lo schiavo, non potendo partecipare, a causa della sua stessa condizione, alla vita della polis, non è propriamente un uomo, secondo l'ottica dei Greci. Secondo la dottrina stoica, tutti gli uomini sono in realtà degli schiavi e solo il saggio è libero: questo, in particolare, è il pensiero di Epitteto, vissuto al tempo dell'imperatore Marco Aurelio. Per Filone Alessandrino, promotore della conciliazione fra Ellenismo ed Ebraismo, il figlio di uno schiavo è a sua volta uno schiavo, tuttavia l'uomo non lo è per natura, ma si rende tale. Nell'ambito del teatro, in riferimento alla tragedia greca, è interessante notare che spesso ricorra la definizione degli uomini come douloi degli dei. In generale per il mondo greco lo schiavo è pari ad un mobile, ad un oggetto domestico, e non può possedere nulla. E' il suo padrone a decidere se lo schiavo si possa sposare e possa avere figli. In ambito ebraico, per un rabbino il termine "schiavo" è un'offesa grandissima.
In ambito cristiano, fin dalle origini, contrariamente a quanto si possa pensare, non si tentò mai di abolire la schiavitù, che tuttavia finì per scomparire senza bisogno di editti o proclami imperiali, grazie al diffondersi del messaggio di Cristo. Già Seneca, nella Epistola 47 ad Lucilium, esorta - e siamo nell'epoca dell'imperatore Nerone - a trattare bene gli schiavi, sottolineando che questo non implichi affatto un'infrazione della legge. Tornando al mondo greco, per Aristotele gli schiavi non sono neppure esseri umani veri e propri, ma già per gli Stoici anche gli schiavi dovevano possedere un'anima, benchè, a loro dire, i lavori manuali - che tutto il mondo greco aborriva - li squalificassero enormemente. Sempre per gli stoici, la mente dello schiavo è libera non meno del suo padrone. Ancora per Aristotele, gli schiavi non potevano studiare la nobile filosofia. In Grecia uno statuto particolare fra gli schiavi era la condizione degli iloti, che derivavano da popolazioni sottomesse ed erano considerati pericolosi perchè molto numerosi. Il padrone aveva un potere assoluto sul proprio schiavo - che infatti non era altro che una sua personale proprietà, non diversamente da ogni altra sua suppellettile - e poteva anche ritrattare le proprie promesse. Lo schiavo, al contrario, non aveva alcun diritto sulle cose o sulle persone ed era considerato egli stesso alla stregua di una merce. Si può dire che in Grecia e poi a Roma gli schiavi costituissero una vera e propria classe sociale: si stimano 60000 schiavi in Grecia nel quinto secolo avanti Cristo e ben 2 milioni in Italia sul finire dell'età repubblicana, in entrambi i casi l'ammontare stimato rappresentava circa il 35 percento della popolazione totale.