Sulla scorta dell’operato del suo predecessore, Antonino Pio (138-161) non volle operare riforme nei confronti della legislazione che riguardava i Cristiani.
Ripresero, tuttavia, sin dal primo anno del suo regno, le condanne a morte sulla base della semplice adesione al Cristianesimo, che erano state proibite da Adriano e di cui si testimoniano casi anche a Roma.
Contrariamente a quanto si possa pensare, però, Antonino Pio non eliminò affatto il rescritto di Adriano, ma si limitò ad interpretarlo nella sua forma più restrittiva, preferendo riferirsi al rescritto precedente di Traiano.
Questa decisione rispecchia perfettamente il mutato clima spirituale e culturale della corte e di tutto l’impero : l’effetto più evidente di questi sconvolgimenti che turbarono la già instabile pace si fece sentire attraverso il nuovo rescritto di Antonino nel 141 a Pacato, legato della Gallia Lugdunense.
Questo rescritto prevedeva, contro chi avesse introdotto “nuove sette e religioni sconosciute alla ragione”, la deportazione per i cittadini honestiores e la pena di morte per gli humiliores. Il testo antoniniano di fatto non nomina mai i Cristiani, ma al lettore più attento non sfugge chi fossero i presunti colpevoli di introdurre una nova religio.
Antonino, tuttavia, non si scagliò solo contro i Cristiani, ma, almeno per tener fede alle parole del suo scritto, coinvolse nella sua collera anche i maghi e gli astrologi, che diventavano sempre più numerosi nel suo secolo.
Questa sorta di “persecuzione” produsse uno sforzo senza precedenti da parte degli apologeti cristiani per dimostrare la ragionevolezza del Cristianesimo, che essi vedevano ridotto a superstizione dall’incomprensione delle autorità romane.
Antonino Pio, però, non giunse mai ad abrogare la disposizione fondamentale del rescritto di Traiano, riguardante il divieto di perseguitare d’ufficio i Cristiani da parte della forza pubblica, anche se tale disposizione dovette essere sicuramente violata in alcuni casi isolati durante il suo principato, come testimonia il caso, accaduto a Smirne nel 155, del vescovo Policarpo. Quest’ultimo fu ricercato e catturato dai funzionari che erano normalmente incaricati di arrestare i criminali comuni. Sembra, comunque, che questo genere di abusi siano avvenuti all’insaputa di Antonino Pio, che probabilmente intervenne per impedire che si ripetessero.