Riguardo all'uomo in rapporto con la Natura e con le potenze divine che lo sovrastano, ma soprattutto con le sue stesse potenzialità, sia il mondo greco che quello latino presentano testimonianze di eccezionale spessore ed altezza di sentire: "Se non potessi essere messo a parte di queste questioni (scil. esplorare il Divino), nascere non avrebbe avuto senso. Che motivo ci sarebbe stato, infatti, di rallegrarmi di essere stato collocato nella schiera dei vivi? Forse per far passare attraverso il mio corpo cibi e bevande? per riempire e far da infermiere a questo mio corpo infermo e snervato, che è destinato alla morte a meno che non venga di volta in volta riempito? per aver paura della morte, per cui sola nasciamo? Togli questo bene inestimabile: la vita non vale tanto da sudare e da infiammarti. Che cosa meschina è l'uomo, a meno che non si solleverà oltre alle questioni strettamente umane!", dice Seneca nella prefazione delle Naturales Quaestiones.
Un vero e proprio elogio delle capacità umane è nello stasimo I dellAntigone di Sofocle: "molte sono le cose meravigliose (deina), ma nulla è più sorprendente dell'uomo, che varca il mare bianco di spuma col favore del Noto tempestoso, passando tra le onde che si sollevano intorno, e consuma la Terra, la più alta fra gli dei, l'infaticabile ed instancabile, trascinando gli aratri anno dopo anno, volgendo la stirpe dei cavalli". Le sue maggiori risorse sono l'ingegno e l'arte, che gli hanno permesso di trovare rimedio praticamente a tutto, fatta eccezione per la morte: "ma privo di ogni risorsa va incontro al futuro: solo dall'Ade non troverà scampo. Eppure ha escogitato rimedi per le malattie che non lasciavano scampo". E l'uomo contiene in sé, in potenza, i semi del bene e del male: sarà cittadino di una grande città chi osserverà le leggi della propria terra e degli dei; senza patria sarà chi invece sceglierà la via della malvagità per aver troppo osato.
Il tema delle capacità umane - in particolare attraverso l'immagine del navigatore che con le sue forze solca un mare prima intentato - è ripresa nel mondo romano da Claudiano nel proemio del suo De raptu Proserpinae: "Chi per primo, escogitata la barca, solcò il mare profondo e con i rozzi remi agitò le acque, chi osò consegnare il proprio tronco ai soffi incerti, costui con l'arte rivelò vie che la natura nega. Dapprima si affidò timoroso alle onde tranquille, sfiorando sempre la riva con rotta sicura; presto prese a saggiare i lunghi golfi, ad abbandonare la terra e ad alzare la vela al mite Noto. Ma quando poco alla volta crebbe il suo impaziente desiderio ed il suo cuore dimenticò la paura ormai senza più vigore, ormai libero assale l'Oceano e, seguendo la via indicata dal cielo, doma le tempeste dell'Egeo e lo Ionio". In questo caso, tuttavia, il "troppo ardire" di Sofocle non è punito dagli dei, ma anzi è visto come il trionfo della volontà dell'uomo sulle forze della Natura.
A volte la vita è presentata come peso insopportabile, fonte di disgrazie infinite che è bene si chiudano il più in fretta possibile nell'oscurità senza fine della sepoltura. E' questo il pensiero partorito dalla mente sconvolta ed obnubilata da incommensurabile dolore di Edipo, che nell'Edipo a Colono di Sofocle afferma: "Il tuo soccorritore, invece, che rende tutti uguali, quando si è rivelata l’ora di Ade priva di Imenei, priva di suoni e priva di danze, è la morte che pone fine a tutto. Non essere nati batte ogni discorso. Il secondo (bene) a grande distanza, invece, è andare, appena nati, là da dove si è giunti. Quando allora la giovinezza cessa di arrecare le leggere incoscienze, quale pena vaga per molto fuori (dalla tua vita)? Quale sofferenza non vi sarà compresa? Uccisioni, rivolte, discordia, battaglie ed invidia: ed è sopraggiunta la vecchiaia disprezzata, estrema, priva di forze, priva di amici ed ostile, dove tutti i mali peggiori convivono (1221-1237)".