Sofocle aveva composto più di 130 opere: la tradizione medievale ci ha conservato 7 tragedie intere – Aiace, Antigone, Edipo Re, Edipo a Colono, Elettra, Filottete e Trachinie – e circa un migliaio di frammenti, che provengono da citazioni.
Delle tragedie superstiti, solamente per due è sicura la datazione: Antigone, del 422, e Filottete, del 409. Per le rimanenti, la successione più probabile è la seguente: Aiace è forse la più antica, Trachinie deve essere stata composta tra il 458 ed il 438, Edipo Re tra il 430 ed il 425, Elettra tra il 418 ed il 414, ed Edipo a Colono forse nel 407.
Sofocle attinge largamente al ciclo troiano ed alla saga tebana per le sue tragedie, ma a volte le sue fonti sono anche leggende locali antiche.
L’AIACE è la tragedia di un eroe che, divenuto troppo orgoglioso, è umiliato dagli dei. Aiace, infatti, furibondo perchè le armi di Achille erano state assegnate ad Ulisse e non a lui, volle uccidere i principi greci; Atena tuttavia gli tolse la ragione e gli fece massacrare gli armenti nell’accampamento. Quando l’eroe torna in sè, pieno di vergogna per il gesto insensato, si vuole uccidere: vane sono le preghiere della moglie Tecmessa, che lo scongiura di non voler abbandonare il figlio. Rimasto solo, si uccide gettandosi sulla sua spada. Dopo una lunga discussione sul seppellimento del cadavere, interviene Ulisse e gli Achei gli tributano solenni esequie.
L’ANTIGONE è una delle più belle tragedie di Sofocle, a mio avviso. La battaglia attorno a Tebe è terminata. I due figli di Edipo, Eteocle e Polinice, si sono uccisi l’un l’altro in duello e Creonte ha proibito, sotto pena di morte, di dar sepoltura a Polinice. Antigone delibera invece di rendere l’estremo onore al cadavere del fratello, nonostante la sorella Ismene le neghi ogni aiuto. Mentre il coro celebra la vittoria di Tebe, una guardia giunge ad annunziare che l’ordine di Creonte è stato violato. Antigone viene scoperta e condotta al cospetto di Creonte. Con fierezza, Antigone sostiene che, obbedendo a leggi eterne, a leggi che, seppure non scritte, gli dei hanno fatto conoscere al genere umano e per questo sono poste al di sopra di ogni legge umana, ella ha dunque compiuto il proprio dovere. Anche la sorella Ismene si accusa di aver partecipato al delitto e desidera morire con lei, ma Antigone la respinge con durezza.
Le due donne sono arrestate ed Antigone è condannata a morte. A nulla vale l’intervento di Emone, figlio di Creonte e fidanzato di Antigone: ella deve essere sepolta viva. Sopraggiunge infine l’indovino Tiresia, che riesce da ultimo a far cambiare idea a Creonte, che però si decide quando ormai è troppo tardi: Antigone si è impiccata ed Emone si è trafitto accanto a lei. Euridice, madre di Emone, si uccide per la disperazione e Creonte rimane solo ad affliggersi nel dolore e nel tardivo pentimento.
Il pregio della tragedia giace nel contrasto dei caratteri delle due sorelle: l’interesse fondamentale sta invece nel contrasto tra la legge positiva, imposta spesso tirannicamente, ed il fondamento etico delle leggi non scritte degli dei, sulle quali Antigone sente di dover impostare le proprie azioni.
Vedi anche: La tragedia dell'Antigone