L’autorità sulla monetazione a Roma in origine apparteneva ai consoli che la esercitavano per mezzo di fiduciari. Questa carica venne loro sottratta ed affidata a magistrati speciali, probabilmente fra il 289 ed il 269 a.C.. Questi magistrati, in origine di numero incerto, si stabilizzarono in numero di 3 nel I secolo a.C. e vennero chiamati “Tresviri auro argento aere flando feriundo”, ma più semplicemente nel linguaggio popolare “Tresviri monetales”. Questo soprannome di “monetales”, così come il nome della stessa “moneta” deriva dal fatto che la Zecca di stato fosse stata costruita sul Campidoglio, presso il tempio di Giunone Moneta. Era sorta in quel luogo la casa di Manlio, che aveva avvertito i suoi concittadini dell’assalto notturno dei Galli. Poi vi era stato edificato un tempio dedicato a Giunone “che avverte”, per il fatto di aver salvato la città.
La carica di monetales era accessibile anche per i cittadini all’inizio del loro cursus honorum, fin dai 25 anni. Essi erano responsabili dei lingotti d’oro che lo stato metteva in circolazione, della lega e del peso delle monete che venivano battute e dell’incisione dei conii della zecca. A garanzia dell’onesto espletamento delle loro cariche, firmavano le monete emesse con la propria sigla. E’ molto probabile che esistesse una sorta di gerarchia fra i tre magistrati. Alle loro dipendenze lavorava un numero enorme di uomini, capeggiati da un “optio et exactor”, una specie di direttore tecnico.
L’insieme delle maestranze formava la “familia monetalis”, che era suddivisa in quattro categorie
Scalptores, che si occupavano di incidere i coni
Officinatores, era la manovalanza, che si occupava degli incarichi più pesanti
Nummularii, che erano incaricati della fornitura del metallo e del ritiro dei conii
Dispensatores, che erano gli impiegati ed addetti alla amministrazione ed alla contabilità
Su tutti vegliavano inoltre un Procurator ed un Probator, che forse era un saggiatore chimico.
Il sistema della coniazione – che legalmente doveva avvenire a Roma, anche se abbiamo tracce di monete coniate da zecche private in tutt’Italia – consisteva nella battitura di un tondello di metallo fino a renderlo malleabile, per poi inserirlo fra due punzoni che recavano incise in incavo le effigi o le rappresentazioni che si volevano raffigurare. Sin dalla metà del II secolo a.C. i monetales non si sentivano più legati ad una raffigurazione unica per le monete. Roma era, per tutti i territori allora conosciuti, l’unica a battere moneta fissa, non aveva concorrenza e dunque non sentiva il bisogno di distinguere la propria moneta da quella di altri paesi. In età imperiale alla zecca senatoria si affiancò quella del princeps, controllata dal Procurator a rationibus o Procurator fisci, che coniava velocemente monete non solo in Roma in caso di bisogno, ma anche vicino alle zone dei combattimenti, se ve ne fosse stata necessità. Così sulle monete senatorie risultava la sigla SC ( Senatus Consultum ), mentre su quelle imperiali PM ( Procurator Monetae ).
Le monete romane erano di bronzo, d’oro o d’argento.
La coniazione aurea fu per lungo tempo intermittente e non regolarmente monetata. Venivano utilizzati dei lingotti a cui lo stato imponeva la propria sigla di garanzia. All’inizio del I secolo a.C. Silla inizia a battere moneta d’oro su un peso che rappresenta un trentesimo di libbra ( una libbra = 272 grammi ). Con Augusto il peso si stabilizza su un quarantaduesimo si libbra, denominato Denarius Aureus. A partire da Nerone il D. Aureus sarà sempre di più sottoposto a svalutazione, fino a Costantino, che introdusse una nuova moneta d’oro, il Solidus, coniata poi per secoli con lo stesso peso e quantità d’oro ( 1/72 di libbra ). Ad un Aureus corrispondevano 5 Quinarii ed a un Solidus 2 Semiassi o 3 Tremiassi.
La coniazione di argento venne introdotta a Roma dai Greci ( monetizzazione Romano – Campana ), a partire dal 320 a.C.. La prima moneta originale romana in argento, pari ad un settantaduesimo di libbra fu il Denarius, che presentava all’inizio una configurazione costante : un dritto con la testa di Roma galeata accompagnata da una X ( dieci assi ), e sul rovescio i Dioscuri e la legenda “Roma”; tuttavia progressivamente l’innovazione e la fantasia decorativa si sostituirono a queste raffigurazioni stereotipe. Monete frazionarie del Denarius erano il Quinario ed il Sesterzio : ad un denario corrispondevano 2 quinari e 4 sesterzi. Caracalla nel 215 emise un nuovo Denarius svalutato, che pesava il doppio ma conteneva solo il 25 % di argento.
La coniazione di bronzo, rame ed ottone è antichissima. Viene formalmente divisa in produzione di
Aes rude, cioè forme di rame di dimensioni diverse, che andavano pesate sul momento per calcolarne il valore
Aes signatum, cioè pezzi di rame o bronzo che riportavano un rozzo segno a forma di spina di pesce, probabilmente coniati in proprio
Aes grave, che aveva l’esatto peso di un asse, era coniato dalla zecca ed in età imperiale rimase prerogativa di conio da parte del Senato
Le sue sottomonete erano il Semiasse, che raffigurava Giove, il Triente con Minerva, il Quadrante con Ercole, il Sestante con Mercurio e l’Oncia con Bellona. L’Asse raffigurava infine Giano. Un asse equivaleva a due semiassi, 3 trienti, 4 quadranti, 6 sestanti e 12 once.
Questa monetazione scomparve per circa due secoli sino a riapparire con Augusto, quando, però, vennero sostituite queste monete di bronzo con nove monete di ottone, i Sesterzi del valore di quattro assi, ai quali si affiancheranno, progressivamente sempre più svalutate, altre monete bronzee di minor valore, fino ad Onorio.
Andrea Zoia