Con la morte di Marco Aurelio si assiste ad un susseguirsi rapido ma sanguinoso di imperatori dal regno breve e spesso più impegnati ad infangare la
memoria dei propri predecessori e ad eliminare i propri potenziali rivali che a governare saggiamente: una ricca e dettagliata descrizione degli anni
dell'"anarchia militare" - come furono detti - si può trovare nelle pagine di Gibbon (Declino e caduta dell'impero Romano). Fino, infatti, al 285 d.C., anno in cui il potere passò nelle mani di Diocleziano, Roma fu tormentata da una serie di insurrezioni da parte delle truppe che provvedevano ad acclamare i propri favoriti per poi rinnegarli e mandarli a morte pochi anni dopo.
Un busto di Commodo
Il successore di Marco Aurelio fu suo figlio Commodo, che guidò Roma dal 180 al 192 d.C., introducendo delle riforme significative, come il calmiere sulle derrate, ma finendo per assumere lo stesso atteggiamento dispotico di Domiziano. Pretese, infatti, di essere adorato come un dio, Ercole che tanto amava, e prese a sfidare i suoi avversari politici combattendoli sotto gli occhi del pubblico al Colosseo. Arrivato giovane al potere (appena diciannovenne), Commodo esercitò una politica pacifica verso l'esterno, ma certamente stravagante verso l'interno, marcata da autentica crudeltà, dal culto della sua personalità, dal gusto per gli spettacoli e dalle spese folli. Tale comportamento dette luogo a molteplici cospirazioni nei suoi confronti, l'ultima delle quali, supportata anche dalla sua concubina Marcia e dal prefetto del pretorio, Laetus, ebbe infine successo.
Alla morte di commodo si aprì un periodo difficile per l'impero: i congiurati avevano scelto come erede al trono Elvio Pertinace, che aveva alle spalle una carriera brillante favorita da ottimi contatti altolocati e dallo stesso imperatore Marco Aurelio. Pertinace, tuttavia, a sua volta ebbe vita breve: il suo regno durò dal 192 al 193 d.C., finchè fu ucciso perchè il pretorio lo riteneva troppo serio ed eccessivamente filosenatorio a causa dei provvedimenti da quest'ultimo adottati per far fronte ad una gravissima crisi finanziaria che aveva colpito Roma dopo la dilapidazione di sostanze perpetrata da Commodo.
La morte di Pertinace rimise tutte le carte in gioco: Didio Giuliano, un ricchissimo senatore con un brillante cursus honorum, acquistò il favore della guardia del pretorio con la promessa di donazioni generose: entrò in Roma ed il senato lo riconobbe imperatore. Tuttavia i governatori delle province erano in disaccordo con la scelta fatta da Roma e non tardarono a proporre ciascuna il proprio candidato. Nell'aprile del 193 d.C. Settimio Severo e, poco tempo dopo, Perscennius Niger (governatore di Siria) si candidarono a rivali di Giuliano. Severo si presentava come vendicatore dell'uccisione di Pertinace. Tuttavia, ancora prima di arrivare a Roma in armi, apprese che il senato, intimorito davanti al suo dispiegamento di forze, aveva condannato a morte Giuliano. Sbarazzatosi così del suo rivale diretto e ridotta all'impotenza la guardia del pretorio, nel 194 d.C. Settimio Severo sconfisse anche Perscennius Niger. Infine, per accordarsi un'aura di legittimità, nel 195 d.C. Severo si autoproclamò figlio di Marco Aurelio.