Fu proprio allora, tuttavia, che il progetto di Vercingetorige, per quanto ben architettato, iniziò ad incontrare una serie di gravi imprevisti – dovuti in parte alla mala sorte ed in parte all’abilità del suo antagonista, Cesare – che portarono al tracollo la rivolta dei Galli.
Cesare, infatti, nonostante le difficoltà, raggiunse in breve tempo le sue truppe acquartierate in Gallia e diede inizio alla repressione della rivolta – aveva infatti compreso che la rapidità di manovra sarebbe stato un fattore–chiave per la buona riuscita della sua campagna militare, prima che la ribellione dei Galli divenisse incontrollabile.
Questi ultimi, in effetti, non avevano fatto i conti con la rapidità dell’avanzare dell’esercito di Cesare, che riuscì a piegare la città di Vellaunodunum ( appartenente ai Senoni e situata nella Francia centrale ) in soli tre giorni. Cesare aveva inizialmente pensato di aggirarla, ma poi, spinto dal timore di lasciare una così importante fortezza dietro le sue linee a minacciare le comunicazioni ed i rifornimenti, aveva deciso di sbarazzarsene.
Poi, con eguale rapidità, Cesare rivolse la sua attenzione alla vicina Cenabum, una cittadina dei Carnuti, situata ove ora sorge Orleans, e soli due giorni dopo era sotto le sue mura con l’esercito schierato, mentre la popolazione locale ancora si attardava nella preparazione delle difese. Senza praticamente incontrare resistenza Cesare prese e diede alle fiamme la città, poi si diresse verso Noviodunum ( a 18 km dall’attuale Bourges ) passando la Loira ed entrando nel territorio dei Biturigi. I cittadini di Noviodunum, atterriti, si consegnarono senza combattere. La caduta di queste città in rapida successione è accennata all’inizio di VII, 14 come causa della convocazione del suddetto consiglio di guerra di Vercingetorige. Il successivo obiettivo di Cesare era l’espugnazione di Avarico.
Nel frattempo, Vercingetorige seguiva ( VII, 16 ) gli spostamenti di Cesare, senza però venire mai allo scontro diretto, ed infine piantò le proprie tende a 15 km dalla città, in un campo paludoso, sperando probabilmente di portare il suo avversario a combattere in un territorio poco familiare.
XVI. Vercingetorix minoribus Caesarem itineribus subsequitur et locum castris deligit paludibus siluisque munitum ab Auarico longe milia passuum XVI. Ibi per certos exploratores in singula diei tempora quae ad Auricum agerentur cognoscebat et quid fieri uellet imperabat. Omnis nostras pabulationes frumentationesque obsueruabat dispersosque, cum longius necessario procederent, adoriebantur magnoque incommodo adficiebat, etsi, quantum ratione prouideri poterat, ab nostris occurrebatur ut incertis temporibus diuersisque itineribus iretur.
Tuttavia Cesare schierò le sue truppe all’assedio di Avarico senza alcun timore.
Il piano d’assedio di Cesare – a logica – si sarebbe potuto ad esempio basare su una tattica tanto antica quanto efficace: tagliare i rifornimenti di acqua della città assediata per costringerla alla resa. Tale strategia era già stata adottata, ad esempio, da Alessandro Magno all’assedio di Babilonia nel 143-142 a.C., quando – si dice – il grande comandante macedone non solo fece deviare il corso dell’Eufrate, ma sfruttò poi il greto del fiume ( una volta asciutto ) per penetrare le difese della città. ( Frontino, stratagemmi, III, 7, 4 )
Tuttavia, nel caso di Avarico, posta in un terreno paludoso alla confluenza di due fiumi ( VII, 15: prope ex omnibus partibus flumine et palude circumdata unum habent et perangustum aditum ), l’approvvigionamento d’acqua era ben garantito e Cesare avrebbe avuto seri problemi ad adottare questo tipo di strategia: così, il comandante romano preferì un attacco frontale classico, concentrato contro le fortificazioni della città.
Le mura di Avarico, racconta Cesare nello stile asciutto e preciso dei suoi Commentarii ( VII, 23 ), erano costruite con lo stile tipico delle fortificazioni galliche, cioè con strati di pietra rafforzate con pesanti travi di legno, per attutire e rendere inoffensivi gli arieti degli assedianti. Inoltre tutto il cerchio possente delle mura era guarnito di torri, dotate di piattaforme approntate per il combattimento e protette esternamente anche dagli eventuali attacchi di frecce incendiarie.
XXIII. Muri autem omnes Gallici hac fere forma sunt. Trabes derectae perpetuae in longitudinem paribus interuallis distantes inter se binos pedes in solo conlocantur. Hae reuinciuntur introrsus et multo aggere uestiuntur: ea autem quam diximus interualla grandibus in fronte saxis effarciuntur. His conlocatis et coagmentatis alius insuper ordo additur, ut idem illud interuallum seruatur neque inter se contigant trabes, sed paribus intermissae spatii singulae singulis saxis interiectis arte continentur. Sic deinceps omne opus contexitur, dum iusta muri altitudo expleatur. Hoc cum in speciem uarietatemque opus deforme non est alternis trabibus ac saxis, quae rectis lineis suos ordines seruant, tum ad utilitatem et defensionem urbium summam habet opportunitatem, quod et ab incendio lapis et ab ariete materia defendit, quae perpetuis trabibus pedes quadragenos plerumque instrorsus reuincta neque perrumpi neque distrahi potest.
Cesare era un vero maestro di tutte le più sofisticate tattiche militari, ed eccelleva anche nell’arte dell’assedio, codificata in una serie di azioni in sequenza dalla lunga esperienza di combattimento guadagnata sul campo: prima di tutto si costruiva una palizzata, allo scopo di prendere per fame la guarnigione, poi, a rafforzamento della palizzata, si disponeva tutto attorno all’obiettivo un cordone di fossati e trincee, scavato in modo che cadesse fuori dal tiro di catapulte, archi o fionde. Questa serie di fossati e trincee aveva un duplice scopo: da un lato impediva agli assediati di abbandonare la città e dall’altro consentiva agli assedianti di disporre di un riparo immediato se gli assediati avessero tentato una sortita od un attacco improvviso. La terza fase di un assedio consisteva nel disporre una seconda linea difensiva di trincee, valli e fossati alle spalle del campo degli assedianti, in modo da proteggere i magazzini delle scorte, gli alloggiamenti delle truppe e le botteghe dove si preparavano le armi d’assedio dall’assalto eventuale di un nemico proveniente dall’esterno.
A causa della conformazione del terreno attorno ad Avarico, tuttavia, sembra ( VII, 17 ) che Cesare non abbia avuto bisogno di queste opere mastodontiche, che invece troveremo descritte minuziosamente nel caso dell’assedio finale portato all’ultima roccaforte dei Galli, Alesia:
XVII. Castris ad eam partem oppidi positis Caesar quae intermissa a flumine et a paludibus aditum, ut supra diximus, angustum habebat, aggerem apparare, uineas agere, turres duas constituere coepit: nam circumuallare loci natura prohibebat.
Il primo compito di Cesare fu quello di trincerarsi in un luogo dal quale potesse rapidamente coprire lo stretto passaggio che, attraverso le paludi, portava ad Avarico; nello stesso tempo, fece costruire una linea di protezione che copriva i soldati intenti alla costruzione delle opere di assedio, in particolare una colossale rampa ( agger ), larga 330 piedi e diretta verso le fortificazioni ( VII, 15: Castris ad eam partem oppidi positis Caesar quae intermissa a flumine et a paludibus aditum, ut supra diximus, angustum habebat, aggerem apparare, uineas agere, turres duas constituere coepit ).
A maggior difesa, fece anche costruire due alte torri, dalle quali poteva rispondere agli attacchi provenienti dalle torri della città e contemporaneamente fornire “fuoco di copertura” alle squadre dei lavoratori.