Terra bruciata

 

    La strategia di Vercingetorige sarebbe consistita in una politica di “terra bruciata”, combinata ad un’attenta pianificazione delle tattiche di difesa: il suo obiettivo era quello di negare ogni forma di sostegno ed approvvigionamento alle legioni romane. Inoltre tutte le provviste dei Galli dovevano essere collocate in aree protette e sicure perché non cadessero nelle mani del nemico, tutti i campi dovevano essere mietuti, nulla lasciato indietro. Tutti i villaggi e le fattorie che fossero capitate sul percorso di marcia di Cesare, e che egli avrebbe potuto sfruttare per approvvigionarsi, dovevano essere date alle fiamme, secondo una stringente logica: quando la nostra vita è in pericolo – diceva il Gallo – dobbiamo essere pronti a sacrificare i nostri beni privati.

    A miglior riuscita di questa tattica di “terra bruciata” Vercingetorige dispose pattugliamenti di cavalleria in tutte le zone date alle fiamme e distrutte: in questo modo egli intendeva garantirsi una sorta di supremazia nel controllo del territorio, consapevole del fatto che i Romani disponevano di molti meno cavalieri dei Galli e che dunque qualunque gruppo di soldati fosse stato scoperto aggirarsi per i campi per tentare un approvvigionamento sarebbe stato facilmente sopraffatto.

    Il secondo punto della strategia del Gallo consisteva nella pianificazione della difesa: tutte le città, eccetto quelle che la conformazione del terreno od altre difese naturali rendevano inespugnabili, dovevano essere date alle fiamme. Se non lo avessero ascoltato, avvertiva i capi tribù, queste ultime, se espugnate, sarebbero servite come centri di approvvigionamento per i soldati romani. Di fronte alle perplessità ed alle rimostranze dei capi tribù, che evidentemente non accettavano di dover non solo abbandonare ma anche distruggere con le proprie mani le proprie case, Vercingetorige opponeva il fatto che destino ben peggiore sarebbe stato quello di morire vedendo inoltre mogli e figli portati via in schiavitù a Roma.

    Il piano strategico di Vercingetorige, dice Cesare ( VII, 15 ), fu approvato all’unanimità dai capi tribali, con un’eccezione: i Biturigi, infatti, non accettarono il fatto che la propria città, Avarico, ritenuta una delle più belle in assoluto di tutta la Gallia, fosse stata destinata ad essere data alle fiamme come molte altre. Perché fosse risparmiata, fecero di tutto per convincere il comandante dei Galli che essa avrebbe potuto facilmente essere difesa, grazie al fatto di essere quasi completamente circondata da un’area paludosa e da un fiume, dove rimaneva scoperto solo un piccolo e stretto passaggio.

XV. Omnium consensu hac sententia probata uno die amplius XX urbes Biturigum incenduntur. Hoc idem fit in reliquis ciuitatibus: in omnibus partibus incendia conspiciuntur: quae etsi magno cum dolore omnes ferebant, tamen hoc sibi solacii proponebant, quod se prope explorata uictoria celeriter amissa reciperaturos confidebant. Deliberatur de Auarico in communi concilio, incendi placeat an defendi. Procumbunt omnibus Gallis ad pedes Biturgires, ne pulcherrimam prope totius Galliae urbem, quae praesidio et ornamento sit ciuitati, suis manibus succendere cogantur: facile se loci natura defensuros dicunt, quod prope ex omnibus partibus flumine et palude circumdata unum habent et perangustum aditum. Datur petentibus uenia dissuadente primo Vercingetorige, post concedente et precibus ipsorum et misericordia uulgi. Defensores oppido idonei deliguntur.

    Vercingetorige non voleva cedere, ma alla fine si rassegnò ed assegnò ad Avarico un contingente di 10000 uomini per la sua difesa: in cambio, i Biturigi aderirono con entusiasmo al suo piano di “terra bruciata” e già il giorno seguente Cesare, osservando l’orizzonte, poté contare – dal fumo che si levava al cielo – più di venti città di quella regione date alle fiamme.

    Tutte le restanti città, risparmiate dal piano di Vercingetorige perché considerate – come detto – inespugnabili, si prepararono ad una difesa ad oltranza. 

         

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