Il tema della sabbia ci riconduce alla grandezza sconfinata ed al fascino che quest’ultima esercita sull’uomo. Non è forse esagerato affermare che nell’enormità che lo sguardo non riesce ad abbracciare l’uomo scorge di nuovo tracce del Divino. E’ nella innumerabilis annorum series et fuga temporum di Orazio (Carmina III, 30), ma anche nel numero dei granelli di sabbia di Catullo (Carmina, 7): Quam magnus numerus Libyssae arenae lasarpiciferis iacet Cyrenis. Ed è ancora nei granelli di sabbia e nella vastità del mare, ammantati di mistero nelle fumose parole della Pizia – che dal suo santuario comprende i muti ed ascolta chi non parla – per Erodoto (Storie, I, 47): "Invece a Delfi, appena i Lidi entrarono nel sacrario per interrogare la divinità e chiesero ciò che era stato loro ordinato, la Pizia in versi esametri rispose: 'io conosco il numero dei granelli di sabbia e le dimensioni del mare, comprendo un muto e ascolto chi non parla. Un odore mi giunge ai sensi di tartaruga dal duro guscio, bollita nel bronzo insieme a carni d'agnello, sotto la quale è messo il bronzo, ed è ricoperta di rame"'.
E la grandezza e l'incommensurabilità, viste non solo dal punto di vista dello stupore ammirato, ma anche dell'esploratore voglioso di lanciare il proprio animo alla scoperta di quanto ancora rimane da conoscere, si ritrovano in Seneca (Nat. Q. 7, 30): "non possiamo conoscere cosa sia quest'entità senza la quale nulla esiste, e ci stupiamo se conosciamo poco dei piccoli fuochi, mentre la parte più vasta dell'universo - dio - ci è completamente nascosta! Quanti animali abbiamo per la prima volta conosciuto in questo secolo, quanti oggetti neppure in questo secolo ! Le popolazioni del secolo venturo conosceranno molte cose ora sconosciute a noi; molte scoperte sono riservate ai secoli futuri, quando il ricordo di noi si sarà spento".
Così nasce il Sublime, per i Romantici dell’Ottocento, come senso di smarrimento e di piccolezza davanti a qualcosa che toglie il respiro nella sua inconcepibilità, sia esso un paesaggio che si estende nella sua bellezza brumosa a perdita d’occhio (come ad esempio nel "Viandante" di Caspar David Friedrich), oppure un’opera d’arte che sentiamo inimitabile. E così nascono anche i passi più alti dell’anonimo autore del trattatello Del Sublime, in cui si afferma che la mente dell’uomo nel suo slancio verso quanto v’è di più alto (e con "sublime" è appunto tradotto l’originale greco “alto”) non è contenuta neppure dai confini dell’Universo stesso e che la contemplazione di quanto è bello e grande è lo scopo stesso dell’esistenza umana (Anonimo, Del Sublime, 36); e ancora afferma che nessun uomo si ferma stupito davanti ad un modesto fuocherello, quanto piuttosto quando ammiri i grandi fuochi del cielo (sebbene – ammette – a volte si oscurino): benchè abbia a sua portata ciò che è utile o necessario, l’essere umano, per sua stessa natura, è sempre in cerca dello straordinario (Anonimo, Del Sublime, 35).Un ribaltamento di prospettiva si ha in Seneca nella prefazione delle Naturales Quaestiones, dove il Sublime non è più lo smarrimento nell'incommensurabile, ma il sollevarsi con l'animo al di sopra dei confini dell'Universo - per quanto il filosofo ne riconosca la grandezza, con ammirazione: "il mondo sarebbe una cosetta meschina, se in esso tutto il genere umano non avesse materia per le sue indagini (Nat. Q. 7, 30)" - e comprendere quanto questo sia infimo nelle sue forme e come tutte le vicende umane, nella loro meschinità in confronto a quelle divine, non siano tanto diverse dal trascinarsi di formichine sulla sabbia: "osservando dall'alto la terra come un luogo ristretto e per gran parte ricoperto dal mare, ed anche dove emerge ovunque inospitale e bruciato o ghiacciato, [dirà] a se stesso: "è questo quel punto che col ferro e col fuoco viene spartito fra tanti popoli? Oh, come sono ridicoli i confini dei mortali! Il nostro impero tenga i Daci oltre le sponde del Danubio, confini con i Grandi Balcani i Traci; l'Eufrate sia d'ostacolo ai Parti; il Danubio separi i possedimenti dei Sarmati da quelli dei Romani; il Reno segni il confine della Germania; i Pirenei levino le loro cime in mezzo tra le Gallie e le Spagne; giaccia fra l'Egitto e gli Etiopi un'immensità deserta di sabbie. Se qualcuno desse alle formiche l'intelligenza dell'uomo, non è forse vero che anch'esse dividerebbero un'aia unica in molte province? Quando ti sarai elevato a quei (misteri) veramente grandi, ogni qual volta vedrai gli eserciti procedere con le insegne spiegate e come se si trattasse di qualcosa di importante e la cavalleria ora all'avanscoperta, ora sparsa sui fianchi, ti piacerà dire: "procede la nera schiera per i campi". questo è un errare di formiche che si affaticano in un piccolo spazio. Che differenza c'è tra noi e loro se non le dimensioni del piccolo corpicino?"".