La chiave di volta, forse, per entrare nel mondo greco ed apprezzare la dicotomia tra Dionisiaco ed Apollineo, gli spiriti immortali (qualunque nome poi ad essi gli uomini abbiano dato) animatori della creazione artistica e dell’invenzione dell’ingegno intesa come sintesi della lucidità, si scorge in un libretto tanto sottile quanto denso di contenuti, La nascita della filosofia, di Giorgio Colli.
Poche pagine intensissime e ricche di spunti di riflessione ed intuizioni squarciano il velo di Maia ed aprono una finestra sul mondo greco che non si limita al solo ambito tragico – coinvolgendo in tal senso la summa stessa del prodotto poetico dell’Ellade – ma finisce per abbracciare la visione stessa della vita da parte dell’uomo. Così facendo, sarà impossibile ritornare – questo l’effetto che ho provato dopo aver letto questo testo – sui passi più alti e coinvolgenti della letteratura senza cercare di scorgervi le tensioni e gli spiriti animatori che si affrontano tra i versi.
Tra i temi affrontati, spiccano l’invasamento e l’enigma, entrambi concetti cardine della poetica e della filosofia greca tutte, non solo delle origini: la loro conoscenza permette anche di affrontare con maggiore cognizione Omero e la nascita della scrittura come fase finale della cultura dell’oralità – auralità e del mondo dei rapsodi. Lo stesso Omero, inoltre, morì di dolore, come vuole una leggenda, proprio per non aver saputo risolvere un enigma postogli da alcuni pescatori.
Enigma è la risposta della Pizia ai Lidi, inviati per conto di Creso (Erodoto, Storie, I, 53) per conoscere l’esito della guerra che quest’ultimo avrebbe voluto intraprendere contro i Persiani: "gli inviati chiedevano così, ed i pareri di entrambi gli oracoli concordarono, predicendo a Creso che, se avesse compiuto una spedizione contro i Persiani, egli avrebbe distrutto un grande regno". Gli oracoli però non dissero (o piuttosto Creso, tragicamente obnubilato dal desiderio di grandezza e quindi dall'ubris sfrontata, non seppe capire) che il grande impero distrutto sarebbe stato il proprio.
Enigma è l'arte poetica stessa, per Platone, che nell'Alcibiade II afferma: "Tutta l’arte poetica, infatti, è, per sua stessa natura, enigmatica, e comprenderla non è cosa da tutti. Inoltre, oltre ad essere per sua natura di tal fatta, quando raggiunge un uomo invidioso e che non vuole che la sua filosofia ci si sveli ma che rimanga il più possibile celata, appare immediatamente straordinariamente difficile da comprendere ciò che ciascuno di loro pensa (Alcibiade II, 147 b 7)".
E l'arte poetica, ai suoi livelli più eccelsi, è anche mania oltre che enigma: "I beni più grandi ci provengono da una mania che ci viene concessa per dono divino. Quando si trovavano in stato di mania la profetessa di Delfi e le sacerdotesse di Dodona procurarono alla Grecia molti e ricchi benefici sia in privato che in pubblico, mentre in stato di senno ne procurarono pochi o nessuno" dice Platone per bocca di Socrate nel Fedro (244a-b). Anzi, senza invasamento, senza mania, l'esistenza stessa della vera poesia è minato alla base: "A chi giunge alle porte della poesia senza la mania delle Muse, credendo tuttavia che potrà essere buon poeta in conseguenza della sola sua arte, resta incompleto, e la poesia di chi rimane in senno viene offuscata da quella di quanti invece sono invasati dalla mania (Ibidem, 245a).
Enigma ammantato di mistero è il cardine dei riti Misterici (la cui etimologia - discussa - ha forse a che vedere con muw, ovvero tacere): "alcuni riti sacri non sono stati tramandati in una sola volta. Eleusi custodisce ciò che deve mostrare a coloro che tornano in visita... Quei segreti non sono a disposizione senza distinzione a tutti; sono appartati e chiusi nel sacrario più interno; io credo che noi siamo degli iniziati, fermi alla sua soglia. E sarà la nostra epoca a guardarne una parte, un'altra l'epoca che subentrerà a noi", dice Seneca nelle Naturales Quaestiones (Nat. Q. 7, 30). E "ho bevuto il ciceone" diceva l'iniziato di Eleusi, cui era vietato rivelare le conoscenze acquisite.
A proposito dei riti misterici può essere interessante leggere Le lamine d'oro orfiche, istruzioni per il viaggio oltremondano degli iniziati greci, a cura di G. P. Carratelli e scoprire come l'oblio, conquistato bevendo l'acqua del lago di Mnemosyne, fosse la condizione indispensabile perchè il mystes potesse avviarsi sulla nuova via, sulla quale "anche gli altri mystai e bacchoi procedono gloriosi": "Sono figlio della Greve e del Cielo stellato; sono arso dalla sete e vengo meno. Ma datemi presto da bere la fredda acqua che viene dal lago di Mnemosyne" - recita una delle lamine recanti le istruzioni per l'iniziato.
Enigma è poi il cuore del Labirinto, in una sorta di specchio nello specchio ( come nel breve racconto Il Minotauro di Durrenmatt ), quasi a voler toccare tutti i protagonisti del Mito cui questo è in qualche modo connesso. Il Minotauro è il Diverso, l'errore aberrante, parto di un rapporto contro natura, e come tale va rinchiuso e separato dalla vista degli uomini. Ma - si chiede Durrenmatt con originalissimo ribaltamento di prospettiva - cosa succederebbe se guardassimo l'esterno con gli occhi del Minotauro? Cosa se ogni giorno non vedessimo che noi stessi proiettati all'infinito da una galleria di specchi, ed all'improvviso comparisse Teseo? Dunque chi sarebbe il Normale e chi il Diverso?