La nostra lettura, che si basa sulla lezione razionalistica di Aristarco, riporta al verso 5 “oiwnoisi te pasi” , a differenza di quella di Zenodoto (oiwnoisi te daita) , che forse avrebbe maggiore carica espressiva, come dimostra per gli echi che ha ripetutamente suscitato nei tragici : l’immagine del banchetto di uccelli rapaci.
Forse sembra possibile che questa seconda lezione fosse nota a Catullo : Pro quo dilaceranda feris dabor alitibusque / Praeda ... . Arianna , abbandonata da Teseo sul lido dell’isola di Dia, vede allontanarsi la nave del seduttore e, assaporando l’amaro sapore della sua sconfitta, esclama: “ ...e per compenso di tutto questo sarò abbandonata alle fiere e in pasto agli uccelli da preda perché facciano di me strazio ...”.
A proposito di questa doppia lezione e del fatto che Catullo sia stato più o meno condizionato dal testo omerico, molti studiosi di scuola americana hanno dibattuto per anni, ma infine sono arrivati alla conclusione che il poeta le conoscesse entrambe e scelse quella zenodotea . Non manca però chi ha affermato che il testo di Catullo non riesca a provare sufficientemente un’imitazione omerica , come J.H. Lee in Iliad and Catullus .