Le meraviglie della Domus

Una sala della Domus Aurea

    All'interno del vestibolum, come riferito da Svetonio, era collocato il colosso che rappresentava Nerone, consacrato al Sole, di cui ci parla anche Plinio (Nat. Hist. XXXIV, 18), riportando anche il nome dello scultore, il greco Zenodoro:

XXXIV. ... Verum omnem amplitudinem statuarum eius generis uicit aetate nostra Zenodorus Mercurio facto in ciuitate Galliae Aruernis per annos decem, Hs quater centies centena milia manupretii; postquam satis artem ibi adprobauerat, Romam accitus a Nerone, ubi destinatum illius principis simulacro colossum fecit CXIX pedum longitudine, qui dicatus Soli uenerationi est, damnatis sceleribus inius principis. Mirabamur in officina non modo ex argilla similitudinem insignem, uerum et de paruis admodum surculis quod primum operis instaurati fuit. Ea statua indicauit interisse fundendi aeris scientiam, cum et Nero largiri aurum argentumque paratus esset et Zenodorus scientia fingendi caelandique nulli ueterum postponeretur

La statua bronzea, alta più di 35 metri, raffigurava Nerone con attributi solari e si ispirava, con ogni probabilità, al colosso di Rodi. L'imperatore era rappresentato nudo e con il braccio sinistro piegato per sorreggere una sfera, il destro proteso in avanti. Sul capo portava una corona composta da sette raggi, lunghi ben sei metri ciascuno. Le uniche raffigurazioni che ci rimangano dell'immane colosso sono state ritrovate su alcune monete degli imperatori Gordiano III ed Alessandro Severo. 

    Plinio riferisce anche che Nerone - non ancora soddisfatto, evidentemente - commissionò anche un ritratto di dimensioni smisurate su una tela di 120 piedi, "cosa impensabile fino a quel momento", che però fu poi colpita da un fulmine e bruciò "negli horti Maiani con la parte più bella del giardino" (Nat. Hist. XXXV, 33):

 XXXIII. Et nostrae aetatis insaniam in pictura non omittam. Nero princeps iusserat colosseum se pingi CXX pedum linteo, incognitum ad hoc tempus. Ea pictura, cum peracta esset in Maianis hortis, accensa fulmine cum optima hortorum parte conflagrauit

I vari edifici che costituivano la Domus Aurea erano raccordati, grazie ad imponenti e grandiose opere di sbancamento e contenimento dei colli circostanti, da monumentali vie porticate, di cui ora restano solo esigue tracce. 

    Il laghetto, il cosiddetto "Stagnum Neronis", era alimentato dall'acquedotto Celimontano ed occupava un'area di forma rettangolare al centro della valle: era raccordato in maniera certamente scenografica agli edifici circostanti, che Svetonio definisce addirittura "ad urbium speciem", cioè, come abbiamo visto, "grandi come città", mediante terrazze e porticati. Recenti scavi nella zona del Colosseo hanno riportato alla luce i resti delle strutture di raccordo. Anche Tacito ci ricorda l'abilità degli architetti di Nerone nelle opere di idraulica (Ann. XV, 42):

XLII. ... Namque ab lacu Auerno nauigabilem fossam usque ad ostia Tiberina depressuros promiserant squalenti litore aut per montis aduersos. Neque enim aliud umidum gignendis aquis occurrit quam Pomptinae paludes: cetem abrupta aut arentia ac, si perrumpi possent, intolerandus labor nec satis causae. Nero tamen, ut erat incredibilium cupitor, effodere proxima Auerno iuga conisus est; manentque uestigia inritae spei.

Quest'ultima frase si riferisce al progetto, commissionato da Nerone agli architetti Celere e Severo, per la costruzione di un canale navigabile dal lago Averno fino alle foci del Tevere, lungo 160 miglia, ma mai realizzato.

    Se il mondo romano aveva già acquisito, negli anni delle guerre di conquista, la moda ellenistica dei grandi peristili colonnati, dei regali saloni di rappresentanza e dei lussureggianti giardini esotici, introdotta a partire dalla fine del II secolo a.C. nelle ricche case di città come nelle lussuose ville di campagna, pure del tutto innovativa risultò la concezione d'insieme della Domus Aurea, nelle proporzioni e nel lusso degli ornamenti, per questo accostabile solo alle regge dinastiche orientali e ai palazzi di corte di Alessandria d'Egitto.

    Intorno alla Domus Aurea si estendevano terreni coltivati e boschi che erano popolati da un'incredibile varietà di animali selvatici: è Tacito stesso a ricordare (Ann. XV, 42) che i tratti più caratteristici del palazzo neroniano non derivavano tanto dalle pietre preziose o dall'oro che lo adornavano, ma dai campi coltivati e dai boschi, che sorgevano in luoghi vasti e deserti, spettacolari per il panorama:

XLII. Ceterum Nero usus est patriae ruinis extruxitque domum in qua haud proinde gemmae et aurum miraculo essent, solita pridem et luxu uulgata, quam arua et stagna et in modum solitudinum hinc siluae inde aperta spatia et prospectus 

La Domus Aurea prende a modello, dal punto di vista architettonico, le ville suburbane del periodo tardo della Repubblica o dei primi anni dell'impero, soprattutto quelle campane, come le celeberrime ville di Baia, il centro di villeggiatura della classe dirigenziale romana (e luogo di piccanti scandali, come quello che vide coinvolta Clodia - Cic. Pro Caelio)  così armoniosamente inserite nell'ambiente circostante, quasi ad anticipare l'architettura organica di Wright.

    Una delle caratteristiche più innovative e spettacolari della residenza neroniana fu, tuttavia, la sua collocazione proprio nel cuore della capitale dell'impero: fu proprio Nerone, infatti, a farsi rappresentare, a partire dagli anni seguenti l'incendio, come il Sole ed anzi come fondatore di una nuova aetas aurea in cui "la terra avrebbe prodotto frutti ... e gli dei offerto doni ... con facilità incredibile" (Tac. Ann. XVI, 2):

XVI. ...  Ac forte quinqueniiale ludicrum secundo lustro celebrabitur, ab oratoribusque praecipua materia in laudem principis adsumpta est. Non enim solitas tantum fruges nec confusum metallis aurum gigni, sed noua ubertate prouenire terram et obuias opes deferre deos, quaeque alia summa facundia nec minore adulatione seruilia fingebant, securi de facilitate credentis.

    Il fatto che la Domus Aurea fosse ricoperta d'oro e di pietre preziose sembra dunque attribuibile a questa scelta ideologica: essa doveva raffigurare la reggia del Sole splendente. A questo proposito, Plinio ci riferisce che l'uso della luce nell'architettura del palazzo aveva raggiunto livelli di impressionante maestria: il Tempio della Fortuna di Seiano, il potente prefetto del pretorio poi caduto in disgrazia durante il regno di Tiberio, era stato inglobato dopo l'incendio nella Domus Aurea ed era stato ricostruito con un marmo particolare (phengites) per ottenere lo strabiliante effetto che la luce proveniente dall'esterno sembrasse in realtà proiettata dall'interno del marmo stesso (Nat. Hist. XXXVI, 46):

XLVI. Nerone principe in Cappadocia repertus est lapis duritia marmoris, candidus atque tralucens etiam qua parte fuluae inciderant uenae, ex argumento phengites appellatus. Hoc construxerat aedem Fortunae, quam Seiani appellant, a Seruio rege sacratam, amplexus aurea domo; quare etiam foribus opertis interdiu claritas ibi diurna erat alio quam specularium modo tamquam inclusa luce, non transmissa.

Da questi modelli, e dalle ideologie che li avevano ispirati, Nerone derivò la visione assolutistica del potere imperiale, che spinse Nerone a raffigurare se stesso nelle sembianze del dio Sole nella statua del Colosso bronzeo, posta ad ornamento del vestibolo della nuova casa, sul luogo dove più tardi sorgerà ad opera di Adriano il Tempio di Venere e Roma. Dal vestibulum, lo sguardo dei visitatori si apriva verso la reggia del dio solare in tutto il suo fulgore di luce ed oro splendente.

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