Per Roma città si manifestavano proprio mentre la città era attraversata dalla “congiura dei Baccanali” i primi segni del fenomeno dell'urbanesimo.
La città, nel pieno della sua ascesa economica e politica, inizia ora a darsi un assetto urbanistico da capitale e a riempirsi di edifici pubblici a carattere sacro e profano, che si moltiplicheranno nel breve giro di pochi anni.
Roma viene così affermando la propria potenza militare, per cui "piena di armi e di barbari e di spoglie cruente, offriva uno spettacolo terribile e pauroso" a un visitatore greco contemporaneo, Plutarco, il quale esclamerà che “allora la si poteva chiamare con Pindaro il tempio del bellicoso Marte". La capitale ribadirà, anche attraverso lo strumento propagandistico dei propri edifici, la grande potenza di quell'oligarchia gentilizia che l'aveva portata alla vittoria.
Contemporaneamente si avvertono i primi segni preoccupanti dell'urbanesimo, destinato ad aumentare sempre più nei decenni seguenti. Questo fenomeno era connesso soprattutto a quella immigrazione rurale, legata ai ceti meno abbienti di una campagna colpita dagli inizi della crisi e dal cui serbatoio si sarebbero estratti i primi nuclei di un sottoproletariato urbano. Questo fatto doveva a sua volta contribuire alla messa in crisi di tutta la vecchia struttura sociale di Roma, diventando fattore di disgregazione di quel ceto plebeo urbano, rimasto fino ad allora omogeneo e privo di forti squilibri sociali. Il ceto plebeo ora veniva a trovarsi tra due fuochi: da una parte una pressione demografica concorrenziale dal basso (a sua volta accresciuta della manodopera servile), dall'altra un progressivo avanzamento economico della elite di potere, alla quale non corrispondeva un parallelo avanzamento dei ceti popolari.
E proprio questo fenomeno si riflette in misura considerevole nell'affare dei baccanali.
Nella prima delle due versioni circa l'origine di questo culto (la seconda è quella “riveduta e corretta” - potremmo dire - che Livio presenta nei capitoli XXXIX, 9 e seguenti e che è stata discussa a proposito del ruolo svolto dall’élite plebea dell’Aventino nella vicenda dei Baccanali), sui cui caratteri di estraneità al patrimonio culturale romano tiene ad insistere in modo particolare, Livio, dice che sarebbe giunto dall'Etruria a Roma un greco ignobilis, cioè di nascita oscura, che avrebbe praticato una particolare tecnica sacrificatoria e avrebbe profetizzato in stato di entusiasmo (sacrificulus et vates).
L'ambito popolare del culto viene precisato anche in un'altra famosa testimonianza di Livio, che é stata giustamente interpretata come riferentesi a un antecedente sociale e religioso dei baccanali. In essa lo storico con acutezza sa connettere le credenze delle masse di immigrati rurali in città alla relativa situazione di marginalizzazione sociale.
L'anno é il 213, i protagonisti sono la plebe rurale immigrata, i suoi sacrificatori e profeti (sacrificuli et vates) e un senato che reprime:
“Quanto più a lungo si protraeva la guerra e l'alternarsi delle vittorie e delle sconfitte non mutava tanto le sorti quanto l'animo degli uomini,insorse a Roma una superstizione - in buona parte di provenienza straniera - tale da sembrare che si fossero improvvisamente mutati gli uomini e gli dei. Infatti i riti romani non solo venivano svolti in segreto e tra le pareti domestiche, ma anche in pubblico, nel Foro e sul Campidoglio, vi era una folla di donne che sacrificavano e facevano preghiere agli dei secondo usanze che non erano patrie. Esperti sacrificatori e profeti avevano irretito gli animi delle persone, il cui numero era stato accresciuto dalla plebe cittadina, che era stata costretta ad immigrare in città a causa dei campi rimasti incolti e resi pericolosi per la lunghezza delle guerre: ed era facile trarre dall'errore altrui un guadagno per delle prestazioni esercitate quasi per concessione. All'inizio si vennero a sentire le espressioni di indignazione degli ottimati, in seguito la questione raggiunse i senatori e ormai l'opinione pubblica se ne lamentava. Accusati gravemente dal senato di non aver tenuto lontano tutto ciò , quando i triumviri e gli edili capitales tentarono di rimuovere quella folla dal foro e di distruggere gli apparati per i sacrifici, poco mancò che non venissero fatti oggetto di violenze. Quando parve chiaro che questo malanno era troppo forte per essere sedato ricorrendo a magistrati minori, venne affidato al pretore urbano ... l'incarico di liberare il popolo da quella superstizione. Costui lesse anche all'assemblea popolare il senatoconsulto e decretò che chiunque possedesse libri vaticini o incantesimi o scritti riguardanti l'arte di sacrificare portasse a lui tutti quei libri e quegli scritti prima delle idi di aprile, e che nessuno facesse sacrifici in luogo pubblico o consacrato secondo un rituale nuovo o straniero."
L'ambientazione di questo episodio, individuata con tanta precisione dallo storico, é illuminante per la conoscenza del quadro sociale dei baccanali.
Di fatto, la repressione del 213 non aveva risolto nulla. Proprio negli anni precedenti la nuova repressione del 186, l'inurbamento era stato tanto rilevante che addirittura vennero a crearsi molti vuoti nelle liste elettorali di molti municipi della penisola. In seguito a ciò, al Senato di Roma giunsero varie lamentele da parte dei diversi senati locali, i cui gruppi di potere si vedevano privati di un numero considerevole di voti (e quindi di peso politico). Così, proprio un anno prima dello scoppio della questione dei baccanali, si era giunti al rimpatrio di un buon numero di immigrati di data recente, creando per loro un notevole stato di disagio. Ma anche questa soluzione ebbe, pur ammettendo che sia stato possibile realizzarla completamente, solo effetti temporanei, dal momento che l'inurbamento continuò ad essere un fenomeno in costante crescita.