Questo personaggio appare verso la fine della tragedia ad annunciare prima la morte di Emone e poi quella di Euridice: nel primo caso a colloquio con il corifeo ed Euridice, nel secondo con Creonte. Nonostante la sua parte limitata, questo personaggio ha occasione di porre delle considerazioni degne di nota, tali da coinvolgere gli spettatori in una riflessione sulla vita: “senza tregua – esclama infatti – la sorte abbatte il fortunato e risolleva l’infelice”. E continua: “prima Creonte appariva – almeno a me – invidiabile. Ora tutto è perduto”. Ancora: “quando un uomo ha smarrito la gioia dell’esistenza, si può dire che non viva più. E’ come un morto che respira. Accumula pure ricchezze nella tua casa, vivi con il fasto di un re: ma se la gioia è spenta, non darei per tutto il resto, in cambio della felicità, l’ombra di un fumo”.
La seconda funzione del nunzio è quella di narrare quello che in scena non è stato rappresentato, come ad esempio quando racconta alla regina Euridice come è morto suo figlio, dopo che Creonte stesso ha dato sepoltura a Polinice: l’episodio è raccontato con ricchezza di particolari nella sua drammaticità, in forte contrasto con la schematicità della parte di tragedia che vive sulla scena. Quando poi il nunzio fa la sua seconda apparizione, deve annunciare che anche la sua sposa è morta: “quante sciagure, mio sovrano, hai finito per tirarti addosso! Una la tieni tra le braccia (il figlio), l’altra sta nella tua casa (la moglie), e presto la vedrai”. Ed è impietoso nel dire a Creonte che Euridice, prima di morire, ha invocato sul marito, “assassino di suo figlio”, “sciagure orribili” (1305).