E’ il più giovane dei figli di Creonte, fidanzato di Antigone.
Nel colloquio drammatico con il padre, dapprima gli si mostra sottomesso ed obbediente sia come figlio che come suddito (635): “tu con i tuoi avveduti consigli mi indichi la via corretta: sempre li seguirò. Nessun matrimonio sarà mai più prezioso per me della tua guida sicura”.
In un secondo momento Emone dice al padre quanto già gli aveva detto Antigone, cioè che “il suo sguardo intimidisce il semplice cittadino, impedendogli di esprimere ciò che ti potrebbe dispiacere” (687). Emone confida al padre che, stando nell’ombra, ha sentito che la città si ribella all’indegna morte di Antigone, colpevole solo di un nobile gesto.
Infine, affonda un fendente che Creonte non si aspetta e nemmeno accetta: egli, infatti, in posizione ora per nulla sottomessa al padre, gli dice che non deve “trincerarsi nell’idea che solo ciò che dice e null’altro sia giusto” (700).
Molto bello, a mio avviso, l’artificio di Sofocle di usare due paragoni (i torrenti che piegano gli alberi ed il marinaio che tende troppo le vele) per descrivere il carattere ed il comportamento di Creonte per bocca del figlio (712).
Ma il contrasto più forte tra Emone e Creonte avviene quando gli dice: “vedo che tu offendi la giustizia” (744); e (746) “tu calpesti gli onori dovuti agli dei”: il ragazzo sottomesso al padre ormai ha ceduto il posto all’uomo Emone che sfida a parole il padre per l’affetto che prova verso Antigone e per il desiderio che sia fatta giustizia.
Emone non comparirà più nella tragedia, se non da morto, portato fra le braccia del padre.
Come spiegherà il nunzio ad Euridice, Emone, straziato dal dolore per il suicidio di Antigone, che si era impiccata nella grotta, dopo averla abbracciata, piangendo, sputa in faccia al padre e tenta di ucciderlo; forse rendendosi conto dell’empietà del gesto e sconvolto dal dolore, Emone rivolge la spada verso se stesso e muore vicino ad Antigone, “celebrando nella casa dei morti i riti nuziali” (1239).