Si vuole proporre un confronto tra la visione delle potenzialità e dei limiti dell'essere umano che emerge dal celebre Stasimo Primo dell'Antigone di Sofocle con il medesimo tema nell'altrettanto celebre Salmo 8, così come appare nella Bibbia dei Settanta. Riportiamo qui di seguito i due testi originali:
Salmo 8 (nella traduzione di San Girolamo):
VIII. In finem pro torcularibus psalmus David [2] Domine Dominus noster quam admirabile est nomen tuum in universa terra quoniam elevata est magnificentia tua super caelos [3] ex ore infantium et lactantium perfecisti laudem propter inimicos tuos ut destruas inimicum et ultorem [4] quoniam videbo caelos tuos; opera digitorum tuorum lunam et stellas quae tu fundasti [5] quid est homo quod memor es eius aut filius hominis quoniam visitas eum [6] minuisti eum paulo minus ab angelis gloria et honore coronasti eum [7] et constituisti eum super opera manuum tuarum [8] omnia subiecisti sub pedibus eius oves et boves universas insuper et pecora campi [9] volucres caeli et pisces maris qui perambulant semitas maris [10] Domine Dominus noster quam admirabile est nomen tuum in universa terra.
Qualche parola di introduzione è necessaria prima di entrare nel vivo dell'analisi dei temi trattati nei due testi. Molti sono i punti in comune di questi due testi così profondi e densi di significati, ma è bene subito premettere che altrettanti sono i tratti di disunione, come è implicito nel fatto che essi siano nati in spazi culturali diversi e per rispondere ad interrogativi diversi. Tuttavia, dal loro confronto nascono indubbiamente stimolanti spunti di riflessione, non da ultimo la constatazione di quanto antiche siano queste domande che da sempre pungolano l'uomo e lo spingono ad interrogare se stesso (e chi egli ritenga abbia dato forma e governi l'Universo) sul proprio ruolo nel Creato. Ci soffermiamo qui maggiormente sull'analisi del Salmo 8, mentre maggiore spazio verrà dato allo Stasimo dell'Antigone nella seconda parte del commento critico.
Il soggetto dell'Uomo è trattato in numerosi passi dell'Antico Testamento, ad esempio nel sopra citato Salmo 8, inoltre nel Salmo 144, nel libro di Giobbe, nel Siracide... Nel Nuovo Testamento ricompare poi ad esempio nella celebre lettera agli Ebrei.
La visione che presenta Sofocle nell'Antigone si potrebbe definire una sorta di antropologia umanista: l'uomo si comprende da sè od in rapporto agli altri esseri che domina: il Salmo 8, al contrario, pone la domanda quasi in forma di dialogo o di preghiera. L'originalità degli interrogativi del Salmo sta in effetti proprio nella loro forma di preghiera. Nell'ottica dell'Antico Testamento, è solo nel colloquio con Dio che l'uomo si può porre un interrogativo sul proprio valore: l'essere umano è in grado di pensare se stesso perchè qualcun altro l'ha pensato. La risposta biblica nasce da uno sguardo trascendente (la contemplazione cui si accenna al verso 4) e non da un'introspezione: l'uomo non è sufficiente a se stesso ed il Creato lo sovrasta, così che egli se ne sente un frammento microscopico e non necessario. Il Creato non è opera dell'uomo, cui dunque non resta che cantarne le lodi come un bambino balbettante od opporsi rigettandolo come un ribelle. L'immagine del bambino, in particolare, è il simbolo della fiducia e dell'abbandono, della dipendenza.
Ai versi 5-9 vengono sottolineate le azioni di Dio che l'uomo scopre rivolte nei propri confronti: l'uomo si chiede con un lungo dubitativo perchè Dio faccia tanto per lui. Ed in questa domanda sorge l'interrogativo sulla propria importanza all'interno del Creato. L'uomo dell'Antico Testamento è infatti 'enosh nel testo ebraico, il cui senso etimologico è accostato alla fragilità, alla caducità, all'essere mortale e propenso alle malattie (verso 5). Oppure, sempre al verso 5, egli è ben-adam, ovvero figlio di uomo: adam in ebraico è connesso alla terra, tanto quanto l'homo latino è etimologicamente apparentato all'humus cui da morti si ritorna. Eppure, Dio ha deciso di prendersi cura di questo essere mortale: l'uomo diventa importante perchè è nei pensieri di Dio. L'espressione che nel latino è tradotta come "angeli", addirittura, sarebbe meglio interpretata come "Dio" (l'originale ebraico elohim indica "esseri celesti", oppure Dio): l'uomo è dunque poco meno del Creatore. Questa antropologia biblica è nettamente diversa da quella di Sofoce: l'uomo non ha importanza in se stesso, ma diventa grande in quanto interlocutore privilegiato di Dio sulla Terra, anzi quasi suo rappresentante. Dio fa dell'uomo un re (coronasti, verso 6) con un'investitura ufficiale: il tema della regalità non è casuale, perchè il re era la figura - per l'antichità egizia e mesopotamica - che rappresentava l'umanità riuscita ed era spesso il figlio stesso del dio. La novità del Salmo 8 sta nell'affermare che ogni uomo è ora re per il fatto di essere figlio di Dio, in una sorta di democratizzazione dei privilegi della regalità.
L'uomo diventa sovrano sugli animali che popolano la terra: in questo la visione del Salmo è molto vicina a quella dello Stasimo, che propone appunto il tema del dominio umano sulla terra e sul mare grazie al suo prodigioso ingegno. Tuttavia, mentre in Sofocle è appunto l'uomo stesso ad apprendere da solo le arti e ad incoronarsi signore degli altri esseri che popolano la Terra, nel Salmo 8 è invece il Signore a coronare l'uomo e a dargli potere sugli animali. Sei specie sono elencate nel Salmo, per rispetto di Dio (sette è il numero della perfezione): l'uomo - in altri termini - non ha potere su tutto, perchè in questo caso sarebbe egli stesso Dio. In modo particolare, all'uomo del Salmo non è dato potere sugli altri uomini, che sono suoi pari. Il Salmo, diversamente dallo Stasimo, non è in grado di dare una risposta definitiva alle domande dell'uomo: anzi, il testo lascia intravedere una sorta di profezia in ottica Cristiana. All'uomo manca ancora qualcosa. La risposta definitiva verrà invece con il Nuovo Testamento, nella Lettera agli Ebrei.