Sallustio

Bellum Jugurthinum

 

Bell. Jug. , LXVI e LXVII

Il massacro di Vaga

Quando fu il momento, i capi della città invitano a casa propria chi uno, chi un altro i centurioni, i tribuni militari e lo stesso prefetto della guarnigione, Tito Turpilio Silano; li uccidono tutti, escluso Turpilio, durante i banchetti. Poi si gettano sui soldati che vagavano sparsi ed inermi, perché in quel giorno mancavano di ordini precisi. La stessa cosa mette in pratica il popolo, parte istruito dalla nobiltà, parte spinto dal desiderio per tali azioni, perché ad esso piacevano sufficientemente il tumulto stesso e le novità, sebbene non conoscesse né i fatti né le decisioni prese. I soldati romani incerti ed ignari di cosa fosse meglio fare, per l’improvvisa paura, iniziavano a temere. Il presidio dei nemici li teneva a distanza dalla rocca della città, dove erano collocati gli scudi e le insegne, e le porte chiuse in precedenza dal poter fuggire. Inoltre le donne ed i ragazzi sui tetti delle abitazioni scagliavano a gara sassi ed altri oggetti che il luogo forniva. Così non potevano né proteggersi dal doppio male, né uomini tanto forti potevano fare resistenza contro un genere di persone debolissimo. Allo stesso modo venivano fatti a pezzi abili ed inetti, valorosi ed inermi senza possibilità di rispondere al fuoco.

 

Testo originale

Sed ubi tempus fuit, centuriones tribunosque militaris et ipsum praefectum oppidi, T. Turpilium Silanum, alius alium domos suas inuitant; eos omnis praeter Turpilium inter epulas obtruncant; postea milites palantis, inermos quippe in tali die ac sine imperio, adgrediuntur. Idem plebes facit, pars edocti ab nobilitate, alii studio talium rerum incitati, quis acta consiliumque ignorantibus tumultus ipse et res nouae satis placebant.
LXVII. Romani milites, inprouiso metu incerti ignarique quid potissumum facerent, trepidare: ad arcem oppidi, ubi signa et scuta erant, praesidium hostium, portae ante clausae fuga prohibebant: ad hoc mulieres puerique pro tectis aedificiorum saxa et alia, quae locus praebebat, certatim mittere. ita neque caueri anceps malum, neque a fortissumis infirmissumo generi resisti posse: iuxta boni malique, strenui et inbelles inulti obtruncari. 

 

 

Bell. Jug. , LXXXIV

Mario, homo novus

Ma Mario, come abbiamo detto poco fa, eletto console dalla plebe che lo desiderava ardentemente, dopo che il popolo gli affidò come provincia la Numidia, già prima ostile alla nobiltà, allora sì che prese a perseguitarla di continuo e con ferocia; li offendeva ora uno ad uno, ora tutti insieme. Continuava a ripetere di aver ricevuto il consolato come spoglie da loro che erano stati sconfitti, inoltre molte altre parole, gloriose nei suoi confronti ed umilianti per loro. Per il momento considerava cose di prima necessità ciò che era necessario per la guerra: chiedeva una nuova leva per le legioni, si procurava truppe ausiliarie dalle popolazioni, dai re e dagli alleati; inoltre faceva venire dal Lazio gli uomini più validi, la maggior parte conosciuti sul campo, pochi per fama e costringeva supplicandoli uomini che avevano già terminato il servizio militare a partire con lui. Ed il Senato, benchè gli fosse ostile, non osava negargli qualche impresa; del resto aveva decretato la nuova leva quasi contento, dato che si pensava che la plebe non volesse il servizio militare e che Mario avrebbe finito per perdere i mezzi necessari alla guerra o i favori del popolo. Ma si sperò invano: tanto forte desiderio si era impadronito della maggior parte dei cittadini di andare con Mario! Ciascuno pensava di diventare ricco grazie al bottino, di ritornare in patria da vincitore, ed immaginavano altre glorie di questo genere e Mario, con il suo discorso, li aveva incoraggiati non poco. Infatti, decretate dal Senato tutte le sue richieste, convocò il popolo a raccolta, per arringarlo e contemporaneamente, come era solito, tormentare la nobiltà.

 

Testo originale

LXXXIV. At Marius, ut supra diximus, cupientissuma plebe consul factus, postquam ei prouinciam Numidiam populus iussit, antea iam infestus nobilitati, tum uero multus atque ferox instare; singulos modo, modo uniuorsos laedere; dictitare ses consulatum ex uictis illis spolia cepisse, alia praeterea magnifica pro se et illis dolentia. Interim quae bello opus erant prima habere: postulare legionibus supplementum, auxilia a populis et regibus sociisque arcessere, praeterea ex Latio fortissumum quemque (plerosque militiae, paucos fama cognitos) accire, et ambiundo cogere homines emeritis stipendiis secum proficisci. Neque illi senatus, quamquam aduorsus erat, de ullo negotio abnuere audebat; ceterum supplementum etiam laetus decreuerat, quia neque plebi militia uolenti putabatur, et Marius aut belli usum aut studia uolgi amissurus. Sed ea res frustra sperata: tanta lubido cum Mario eundi plerosque inuaserat! Sese quisque praeda locupletem fore, uictorem domum rediturum, alia huiuscemodi animis trahebant, et eos non paulum oratione sua Marius adrexerat. Nam postquam, omnibus quae postulauerat decretis, milites scribere uolt, hortandi causa simul et nobilitatem uti consueuerat exagitandi, contionem populi aduocauit. 

 

 

Bell. Jug. , LXXXV

Il discorso di Mario

E non mi sfugge che incarico io sostenga con il massimo vostro vantaggio. E’ più difficile di quanto si pensi, Quiriti, preparare il necessario per la guerra e contemporaneamente non dissipare l’erario, costringere al servizio militare coloro che non si vuole offendere, provvedere a tutto in patria ed all’estero, e fare tutto questo fra gli invidiosi, gli oppositori, i faziosi. Inoltre, se gli altri hanno sbagliato, la nobiltà di vecchio stampo, le ardite imprese degli antenati, le ricchezze di parenti e congiunti, le molte clientele, tutte queste vengono loro in aiuto; le mie speranze sono invece tutte riposte in me stesso, ed è necessario proteggerle con il valore e l’onestà; infatti ogni altra cosa non è sicura; e capisco bene, Quiriti, che i volti di tutti sono girati verso di me, che i giusti ed i buoni mi appoggiano, dato che le mie azioni, se svolte correttamente, vanno a vantaggio dello Stato, e che la nobiltà aspetta il momento di attaccarmi. Perciò devo mettere tutto il mio impegno con ancora maggior sforzo, perché voi non veniate ingannati ed essi rimangano delusi. Dall’infanzia sino ad ora ho vissuto in modo tale da ritenere ogni fatica e pericolo come abituali. Ed ho fatto senza pretendere compenso le imprese che hanno preceduto le vostre gratificazioni; non c’è motivo che io lasci queste incompiute dopo aver ricevuto la ricompensa, Quiriti. E’ difficile, per coloro che per ambizione fecero finta di essere onesti, essere moderati quando  ricoprono  cariche di potere; per me, che mi sono sempre comportato bene per tutta la vita, agire correttamente per abitudine si è mutato in un comportamento consueto

 

Testo originale

Neque me fallit, quantum cum maxumo beneficio uostro negoti sustineam. Bellum parare simul et aerario parcere, cogere ad militiam eos quos nolis offendere, domi forisque omnia curare; et ea agere inter inuidos occursantis factiosos, opinione, Quirites, asperius est. Ad hoc, alii si deliquere, uetus nobilitas, maiorum fortia facta, cognatorum et adfinium opes, multae clientelae, omnia haec praesidio adsunt: mihi spes omnes in memet sitae, quas necesse est uirtute et innocentia tutari; nam alia infirma sunt. Et illud intellego, Quirites, omnium ora in me conuorsa esse; aequos bonosque fauere, quippe mea bene facta rei publicae procedunt, - nobilitatem locum inuadendi quaerere. Quo mihi acrius adnitundum est, uti neque uos capiamini et illi frustra sint. Ita ad hoc aetatis a pueritia fui, uti omnis labores et pericula consueta habeam. Quae ante uostra beneficia gratuito faciebam, ea uti accepta mercede deseram, non est consilium, Quirites. Illis difficile est in potestatibus temperare, qui per ambitionem sese probos simulauere; mihi, qui omnem aetatem in optumis artibus egi, bene facere iam ex consuetudine in naturam uortit.