Bellum Jugurthinum , V
Introduzione
Mi accingo a scrivere la guerra che il popolo romano condusse contro il re dei Numidi Giugurta, per prima cosa perché fu un fatto importante, (una guerra) terribile e la vittoria fu incerta, in secondo luogo perché allora per la prima volta si andò contro l’arroganza della nobiltà. E questa contesa mescolò tutti i valori umani e divini, e giunse a tal punto di follia che la guerra e la rovina dell’Italia posero fine alle passioni civili. Ma prima di spiegare l’inizio di un fatto di tale portata mi rifarò da poco più indietro, perché tutti i fatti di rilievo appaiano sempre di più chiari per la comprensione.
Durante la Seconda Guerra Punica, con la quale il comandante dei Cartaginesi, Annibale, aveva rovinato, oltre alla grandezza del nome romano, soprattutto le risorse dell’Italia, il re dei Numidi, Massinissa, accolto come amico da Publio Scipione, che poi ebbe per il suo valore il soprannome di Africano, aveva compiuto molte imprese militari degne di rispetto. Ed a causa di queste, una volta sconfitti i Cartaginesi e catturato Siface, il cui potere in Africa fu grande e vasto, il popolo romano diede in dono al re qualunque città e campo avesse catturato con l’esercito. Dunque l’amicizia con Massinissa rimase buona ed onesta nei nostri confronti. Ma con la sua morte cessò anche il suo potere. Poi il figlio Micipsa governò da solo, dato che i suoi fratelli Mastanabale e Gulussa morirono di malattia. Ebbe come figli Aderbale e Iempsale, e tenne in casa Giugurta, figlio di suo fratello Mastanabale - che Massinissa, poiché gli era nato da una concubina, aveva lasciato nella condizione di privato cittadino -, trattandolo alle medesime condizioni dei suoi figli.
Testo originale
V. Bellum scripturus sum, quod populus Romanus cum Iugurtha rege Numidarum gessit; primum quia magnum et atrox uariaque uictoria fuit, dehinc quia tunc primum superbiae nobilitatis obuiam itum est: quae contentio diuina et humana cuncta permiscuit, eoque uecordiae processit, ut studiis ciuilibus bellum atque uastitas Italiae finem faceret. Sed priusquam huiuscemodi rei initium expedio, pauca supra repetam, quo ad cognoscendum omnia inlustria magis magisque in aperto sint. Bello Punico secundo, quo dux Carthaginiensium Hannibal post magnitudinem nominis Romani italiae opes maxume adtriuerat, Masinissa, rex Numidarum, in amicitiam receptus a P. Scipione, cui postea Africano cognomen ex uirtute fuit, multa et praeclara rei militaris facinora fecerat; ob quae, uictis Carthaginiensibus et capto Syphace, cuius in Africa magnum atque late imperium ualuit, populus Romanus quascumque urbis et agros manu ceperat, regi dono dedit. Igitur amicitia Masinissae bona atque honesta nobis permansit: sed imperi uitaeque eius finis idem fuit. Dein Micipsa filius regnum solus obtinuit, Mastanabale et Gulussa fratribus morbo absumptis. Is Adherbalem et Hiempsalem ex sese genuit, Iugurthamque, filium Mastanabalis fratris, quem Masinissa - quod ortus ex concubina erat - priuatum dereliquerat, eodem cultu, quo liberos suos, domi habuit.
Ritratto di Giugurta
Ed egli, appena crebbe, pieno di forze, bello d’aspetto ma soprattutto di grande intelligenza, non si lasciò corrompere dal lusso o dall’ozio, ma, come è tipico del suo popolo, andava a cavallo, tirava il giavellotto, gareggiava in sfide di corsa con i suoi coetanei, e, sebbene per fama superasse tutti, tuttavia a tutti era caro. Inoltre trascorreva il rimanente tempo dedicandosi alla caccia, feriva per primo ed era fra i primi a ferire il leone e le altre belve, faceva moltissime cose, ma parlava pochissimo di sé. E Micipsa, benchè all’inizio fosse stato contento di questi fatti, poiché riteneva che l’abilità di Giugurta avrebbe portato gloria al suo regno, tuttavia, poiché realizzò che il ragazzo cresceva sempre di più, che il suo tempo volgeva al termine ed i suoi figli erano piccoli, molto scosso da questa faccenda, nutriva in cuor suo molti pensieri. Lo spaventava la natura degli uomini, desiderosi di comando e precipitosi nel soddisfare i desideri dell’animo, inoltre l’occasione favorevole che derivava dalla sua condizione e dall’età dei suoi figli, che poteva traviare uomini anche mediocri con la speranza del bottino. Inoltre gli animi dei Numidi, rivolti a favore di Giugurta, dai quali temeva, se avesse assassinato con un inganno un uomo di tale stima, sarebbe nata una rivolta o una guerra.
Testo originale
VI. Qui ubi primum adoleuit, pollens uiribus, decora facie, sed multo
maxume ingenio ualidus, non se luxu neque inertiae conrumpendum dedit, sed, uti mos gentis illius est, equitare, iaculari, cursu cum aequalibus
certare; et cum omnis gloria anteiret, omnibus tamen carus esse: ad hoc pleraque tempora in uenando agere, leonem atque alias feras primus aut in
primis ferire: plurumum facere, minimum ipse de se loqui. Quibus rebus Micipsa tametsi initio laetus fuerat, existumans uirtutem Iugurthae regno
suo gloriae fore, tamen, postquam hominem adulescentem exacta sua aetate et paruis liberis magis magisque crescere intellegit, uehementer eo negotio
permotus, multa cum animo suo uoluebat. Terrebat eum natura mortalium auida imperi et praeceps ad explendam animi cupidinem, praeterea opportunitas
suae liberorumque aetatis, quae etiam mediocris uiros spe praedae transuorsos
agit; ad hoc studio Numidarum in Iugurtham accensa, ex quibus, si talem uirum dolis interfecisset, ne qua seditio aut bellum
oriretur, anxius erat.
L'assassinio di Jempsale
Durante la prima riunione che ho ricordato prima essere stata condotta dai figli del re, a causa di una divergenza di opinioni si era deciso di dividere i tesori e di fissare per ciascuno i confini del proprio dominio. Dunque viene stabilito il momento opportuno per entrambe le cose, ma prima per la divisione del denaro. I figli del re nel frattempo si ritirarono chi in un luogo, chi in un altro, in luoghi vicini ai tesori. Ma Jempsale per caso nella città di Thirmida era ospite di un tale che, poiché era littore massimo di Giugurta, gli era sempre stato caro e ben gradito. E allora egli ( Jug. ) ricopre di promesse quest’ultimo, che gli si presentava come complice, e lo spinge ad andare a casa sua come per dare un’occhiata, a procurarsi i duplicati delle chiavi delle porte – infatti quelle vere venivano riconsegnate e Jempsale – del resto, se la situazione l’avesse richiesto, sarebbe venuto di persona con un gran manipolo di uomini armati. Il numida porta a termine in breve tempo i compiti assegnatigli e, come gli era stato insegnato, di notte fa entrare i soldati di Giugurta. Ed essi, una volta fatto ingresso nella casa, divisisi cercavano il re, uccidevano alcuni nel sonno ed altri che si facevano loro incontro, osservando con attenzione i luoghi nascoste, forzavano le porte chiuse e buttavano all’aria tutto con strepito e confusione. Quand’ecco viene trovato Jempsale che si nascondeva nella capanna di una serva, dove all’inizio, pieno di paura e non essendo pratico del posto, si era rifugiato. I Numidi, come era stato loro ordinato, riportano la sua testa a Giugurta.
Testo originale
XII. Primo conuentu, quem ab regulis factum supra
memoraui, propter dissensionem placuerat diuidi thesauros, finisque imperi singulis
constitui. Itaque tempus ad utramque rem decernitur, sed maturius ad pecuniam distribuendam. Reguli interea in loca propinqua thesauris alius
alio concessere. Sed Hiempsal in oppido Thirmida forte eius domo utebatur, qui, proxumus lictor Iugurthae, carus acceptusque ei semper
fuerat: quem ille casu ministrum oblatum promissis onerat impellitque, uti tamquam sua
uisens domum eat, portarum clauis adulterinas paret - nam uerae ad Hiempsalem referebantur -; ceterum, ubi res postularet, se ipsum cum magna
manu uenturum. Numida mandata breui conficit atque, uti doctus erat, noctu Iugurthae milites introducit. Qui postquam in aedis inrupere, diuorsi regem
quaerere, dormientis alios, alios occursantis interficere, scrutari loca abdita, clausa effringere, strepitu et tumultu omnia miscere: cum interim
Hiempsal reperitur occultans se tugurio mulieris ancillae, quo initio pauidus et ignarus loci perfugerat. Numidae caput eius, uti iussi erant, ad
Iugurtham referunt.
Metello passa alla guerriglia
Metello, quando vide che l’animo del re anche allora era fiero, che la guerra continuava e che quest’ultima non poteva essere condotta se non come a lui piaceva, ed inoltre che il combattimento con i nemici era per lui svantaggioso, che i suoi, pur vincendo, ricevevano più perdite dei loro che venivano sconfitti, decise di non condurre più la guerra con battaglie o su campo aperto, ma in un altro modo. Quindi si sposta nelle regioni più fertili della Numidia, devasta i campi, espugna e dà alle fiamme rocche e cittadelle poco fortificate o sguarnite, ordina di massacrare gli adulti, e che ogni altra cosa fosse bottino dei soldati. Per quel terrore molti uomini furono consegnati in ostaggio ai Romani, furono offerti frumento ed altre cose in abbondanza, che fossero di qualche utilità, e quando l’occasione lo richiedeva fu stabilito un presidio. E questi provvedimenti spaventavano il re molto di più di un combattimento mal gestito dai suoi; infatti, poiché ogni sua speranza era riposta nella fuga, era costretto ad inseguire e – lui che non aveva saputo difendere le sue posizioni – a combattere in quelle degli avversari. Tuttavia, date le circostanze, prende una decisione che sembrava ottima. Ordina al grosso dell’esercito di attenderlo negli stessi luoghi. Egli segue Metello con alcuni cavalieri scelti, senza essere notato, grazie a marce notturne per strade fuori mano, e si getta all’improvviso sui Romani che vagano in formazione sparsa. La maggior parte di loro cade inerme, molti sono fatti prigionieri, nessuno riesce a fuggire illeso.
Testo originale
Igitur Metellus, ubi uidet regis etiam tum animum ferocem esse, bellum renouari quod nisi ex illius lubidine geri non posset; praeterea iniquum certamen sibi cum hostibus, minore detrimento illos uinci quam suos uincere; statuit non proeliis neque in acie, sed alio more bellum gerundum. Itaque in loca Numidiae opulentissuma pergit, agros uastat, multa castella et oppida, temere munita aut sine praesidio, capit incenditque, puberes interfici iubet, alia omnia militum praedam esse. Ea formidine multi mortales Romanis dediti obsides, frumentum et alia, quae usui forent, adfatim praebita: ubicumque res postulabat, praesidium inpositum. Quae negotia multo magis quam proelium male pugnatum ab suis regem terrebant; quippe cuius spes omnis in fuga sita erat, sequi cogebatur, et qui sua loca defendere nequiuerat, in alienis bellum gerere. Tamen ex copia quod optumum uidebatur consilium capit: exercitum plerumque in eisdem locis opperiri iubet, ipse cum delectis equitibus Metellum sequitur, nocturnis et auiis itineribus ignoratus Romanos palantis repente adgreditur. Eorum plerique inermes cadunt, multi capiuntur, nemo omnium intactus profugit; et Numidae, prius quam ex castris subueniretur, sicuti iussi erant, in proxumos collis discedunt.