Il grande interesse degli studiosi moderni per i problemi riguardanti la guerra ed il servizio militare ha diffuso l’opinione che questi problemi abbiano avuto un ruolo determinante nei rapporti tra i Cristiani e l’impero, fino a far credere che una delle cause della decadenza stessa di Roma sia stata proprio questa avversione dei Cristiani per la professione delle armi. In realtà la gerarchia ecclesiastica non manifestò alcuna presa di posizione ufficiale prima del 314 (Concilio di Arles), quando i vescovi decisero che i disertori dovevano essere puniti con la scomunica.
Negli Atti degli Apostoli, inoltre, si ricorda che il primo pagano convertito al Cristianesimo fu proprio un centurione, Cornelio, ed il primo riconoscimento pubblico della natura divina di Gesù viene attribuito dai Vangeli al centurione romano di guardia alla croce. A prescindere dall’uso di svariate metafore di tipo militare negli scritti di Paolo, nel periodo immediatamente successivo all’età apostolica, i riferimenti alla posizione dei Cristiani di fronte al servizio militare continuano ad essere pressoché nulli. Più espliciti, invece, sono gli aperti elogi della disciplina degli eserciti imperiali, additati ai Cristiani da Clemente Romano come un esempio da seguire.
La prima prova, da un punto di vista cronologico, della presenza di soldati cristiani nell’esercito romano è costituita da un episodio accaduto nel 174, durante il principato di Marco Aurelio, comunemente noto come il “miracolo della pioggia”. Questa vicenda, garantita dalla testimonianza di fonti letterarie pagane (Dione Cassio) e cristiane (Tertulliano ed Eusebio), ebbe per protagonista un contingente militare romano che, in procinto di scontrarsi con i Quadi nei Balcani, venne miracolosamente salvato prima da un uragano che disperse i nemici e poi da una pioggia abbondante grazie alla quale tutti poterono dissetarsi.
Dione Cassio riconosce l’intervento soprannaturale, ma lo attribuisce ad un mago egiziano, a differenza degli scrittori cristiani che sono unanimi nel sostenere che l’intervento divino venne propiziato da un consistente gruppo di soldati cristiani che prestavano servizio nelle file della legione XII Fulminata. A sostegno di questa versione, Tertulliano, rivolgendosi ai lettori pagani del suo Apologetico, ricordava loro l’esistenza di una lettera autografa dello stesso Marco Aurelio che l’accreditava.
Benché nessuno dubiti che il testo della lettera di Marco Aurelio al senato che ci è pervenuto sia un falso antico, esso non va confuso con il documento autentico cui fa riferimento Tertulliano: la falsa lettera di Marco Aurelio contiene un provvedimento di legalizzazione della religione cristiana. Tertulliano, invece, che voleva convincere i lettori a cui era destinato l’Apologetico, cioè i più eminenti cittadini romani, non attribuiva a Marco Aurelio la legalizzazione del Cristianesimo, bensì solo l’introduzione di una condanna infamante contro chi avesse accusato un Cristiano, provvedimento, quest’ultimo, storicamente indubitabile.
Tertulliano, dunque, non conosceva il testo apocrifo che ci è giunto, ma si riferiva piuttosto ad una lettera che doveva essere di necessità conosciuta anche dai pagani: all’interno di quest’ultima doveva essere evidentemente contenuto anche il resoconto ufficiale al Senato del “miracolo della pioggia”.