Introduzione: a Roma

In Occidente i detrattori del Cristianesimo non si appellavano a valori religiosi, quanto piuttosto al fondamento stesso di questi ultimi, il mos maiorum, cioè la tradizione dei padri.

In Oriente, invece, si sfruttò soprattutto il fanatismo sempre latente nelle masse e l’innata avversione al cambiamento ed al nuovo che è una caratteristica propria di quasi tutto il mondo classico : questa si esplicitò in un odio feroce contro il novum cristiano in base al principio per il quale “non è lecito a una nova religio criticare una vetus religio.

La storia romana veniva presentata come una parabola discendente a partire da una remota e mitica età dell’oro: il fatto che il Cristianesimo si presentasse invece con il suo messaggio di radicale rinnovamento ad offrire un futuro migliore del passato costituiva un punto di attrito (insanabile per i più accesi conservatori) con la mentalità antica.

La sicurezza e la prosperità di Roma, secondo la tradizione pagana, non dipendevano tanto da forze umane, quanto dalla protezione degli dei: questa protezione presupponeva che tutti prestassero agli dei il culto al quale essi avevano diritto in base alle leggi dello stato, mentre la pax deorum veniva seriamente compromessa quando qualcuno, come i Cristiani, si rifiutava di adorarli.

Nella concezione dei Romani, inoltre, una religione poteva essere tale solo dopo aver ricevuto il riconoscimento ufficiale da parte dello stato: le coscienze dei singoli dovevano intendersi completamente liberate da ogni scrupolo religioso qualora un atto ufficiale dello stato avesse sancito che una certa divinità non esisteva. Di conseguenza, il decreto del senato con cui, al tempo di Tiberio, era stata negata la natura divina di Cristo secondo l’opinione pubblica romana era più che sufficiente per stabilire che Cristo non era effettivamente un dio.

Un ruolo determinante nel diffondere sentimenti ostili ai Cristiani all’interno dell’opinione pubblica romana fu assunto dalle infamanti accuse loro rivolte, che - come testimonia anche Tacito in Annali 15,44 - dovevano essere già ampiamente diffuse prima del 64 e che comprendevano quelle di infanticidio e di incesto (originatesi rispettivamente dal fraintendimento della celebrazione eucaristica e dall’uso dei Cristiani di chiamare i propri correligionari “fratelli” e “sorelle”).

I pochi pagani che erano in posizione tale da poter controllare da vicino o di persona la realtà dei fatti (come, ad esempio, Plinio il Giovane) si rendevano conto facilmente di quanto fossero assurde tutte queste dicerie e non avevano timore di dirlo e di metterlo anche per iscritto in documenti ufficiali: tutti si premuravano di sottolineare l’irreprensibilità della condotta civica dei seguaci di Cristo, ma non ritenevano opportuno perdere il proprio tempo occupandosi di questa nuova setta religiosa.

Fra le classi dirigenti e gli ambiente della cultura, almeno all’inizio, il Cristianesimo era stato fatto oggetto di scherno e di disprezzo, come nel caso del discorso di Paolo all’Areopago (At. 17,22), ma trovò anche alcuni ascoltatori attenti e dei sinceri estimatori, come fra gli intellettuali di formazione stoica che condividevano vari aspetti dell’austerità morale dei Cristiani: non è un caso che, benché l’epistolario fra i due sia sicuramente un apocrifo del IV secolo, fra Paolo e Seneca vi fu un rapporto di amicizia nato al tempo della prima prigionia romana di Paolo.

La reciproca simpatia fra Cristiani e stoici iniziò a venir meno al tempo di Domiziano, quando i secondi - a differenza dei primi - non sollevarono più obiezioni a proposito del culto imperiale, finche non ascese al trono addirittura proprio uno stoico come Marco Aurelio.

Un altro motivo di conflitto fra Stato e Cristiani venne a formarsi in seguito alla diffusione di un’eresia, il montanismo, caratterizzata da un fanatismo antistatale e antiromano, la cui differenza dalla dottrina ortodossa non venne immediatamente percepita dai pagani.

E’ importante sottolineare il fatto che furono gli intellettuali ad allinearsi ai pregiudizi dell’opinione pubblica e non viceversa, come hanno sostenuto alcuni storici: l’ostilità della pubblica opinione nei confronti dei Cristiani nacque e si sviluppò in un periodo in cui la classe dirigente e buona parte degli intellettuali non erano ancora pregiudizialmente mal disposti verso il Cristianesimo.

Il fatto che gli intellettuali avessero prestato ascolto alle stesse ridicole dicerie che godevano di ampio credito presso il popolino non deve eccessivamente stupire, perché il secondo secolo fu contrassegnato soprattutto da una profonda crisi e da un’ansia per il futuro, dove fideismo e razionalismo apparivano uniti nella condanna del Cristianesimo.

Il secondo secolo, tuttavia, vide anche la possibilità per la Chiesa di uscire dalla clandestinità in cui era vissuta fino a quel momento, grazie al tentativo da parte di alcuni intellettuali di approfondire la conoscenza critica del Cristianesimo e grazie allo strumento giuridico offerto dai collegi, le associazioni di mutuo soccorso dotate di una cassa comune, della cui veste giuridica si rivestirono per possedere e rivendicare proprio i luoghi di culto e di sepoltura. Questa finzione giuridica divenne inutile dopo il riconoscimento ufficiale della Chiesa grazie all’editto di Gallieno del 260.

Lo scatenarsi delle persecuzioni e proprio alcuni eccessi compiuti dai persecutori concorrevano a rendere meno ostile nei confronti dei Cristiani la maggioranza dell’opinione pubblica: verso la metà del III secolo, quando finalmente l’autorità imperiale si decise ad assumere la guida della persecuzione contro i Cristiani, con Decio e Valeriano, l’opinione pubblica romana iniziò ad evidenziare vere e proprie aree di solidarietà con i Cristiani.

Questo atteggiamento fu assunto soprattutto nelle regioni occidentali dell’impero, mentre il fanatismo di quelle orientali continuò a farsi sentire ancora per lunghi anni.

Indice