Le incursioni barbariche del III e IV secolo d.C.
In giallo sono evidenziati i territori temporaneamente sottratti all’Impero Romano. In verde scuro l’abbandono del Limes.
Nel 249 il prefetto del pretorio Decio, imparentato con famiglie etrusche di antichissima nobiltà, legate ai ceti più conservatori e tradizionalisti del paganesimo, fece assassinare in una rivolta Filippo l’Arabo. E’ interessante notare che Decio viene definito in una iscrizione come restitutor sacrorum, cioè restauratore della corretta religiosità pagana : il nuovo imperatore, prima di ricorrere all’estremo rimedio dell’uccisione del suo avversario, aveva organizzato una vasta campagna diffamatoria nei confronti di Filippo, tutta caratterizzata sul piano religioso : sebbene in negativo, questo fu un importantissimo riconoscimento del Cristianesimo.
I Cristiani sapevano bene che, morto Filippo, e osservato l’atteggiamento ostile di Decio, avrebbero incorso sicuramente in notevoli problemi con le autorità e la persecuzione non tardò a farsi sentire.
Nell’aprile del 250, Decio ordinò attraverso un editto imperiale a tutti i cittadini di compiere atti di culto idolatrico alla presenza di commissioni governative : era una sorta di grande censimento religioso di tutta la popolazione ; chi si fosse rifiutato sarebbe stato giustiziato. Questo editto aveva lo scopo non dichiarato di isolare ed identificare i Cristiani, benché non li nominasse direttamente.
La persecuzione si risolse in un parziale insuccesso, perché solo in Africa ed in Oriente, dove fanatismo ed intolleranza erano sempre molto diffusi, ebbe qualche effetto, mentre in Occidente, grazie soprattutto al fenomeno dei lapsi, cioè dei Cristiani indotti ad abiurare, i martiri non furono molti e certe province vennero a costituire veri e propri asili sicuri, come la Gallia o la Britannia, e persino la stessa Roma permise a numerosi Cristiani di trovarvi scampo.
Decio stesso non osò esagerare in crudeltà, perché si rendeva conto che l’opinione pubblica pagana, come già testimoniava Tacito a proposito di quella dei tempi di Nerone, era contraria che le pene fossero troppo atroci.
La persecuzione di Decio fu, in moltissime regioni, ma soprattutto a Roma ed in Africa, opera più del popolo che dell’autorità romana, benché la direttiva che spinse i magistrati ad agire fosse partita proprio dall’imperatore.
Questa fu l’ultima persecuzione anticristiana ad essere diretta contro di loro solo indirettamente, senza nominarli espressamente : da Valeriano in avanti gli imperatori, consci del fallimento di Decio, non commisero più lo stesso errore e si volsero a colpire la Chiesa senza servirsi di formulazioni ambigue.
Benché, dunque, i suoi risultati siano stati modesti, la persecuzione di Decio ebbe conseguenze imprevedibili soprattutto per quanto riguarda la cosiddetta questione dei lapsi : il gran numero di Cristiani che avevano accettato di compiere sacrifici pagani per aver salva la vita premeva per essere riammesso nella comunità, suscitando gravi e profondi problemi di coscienza e di dottrina al loro stesso interno.
Alla fine del 251, l’imperatore lasciò Roma per andare ad affrontare i barbari ai confini : i Romani, che non lo avevano mai amato molto gli opposero, durante la sua assenza, Treboniano Gallo, “cupientissimo vulgo”. Quando poi Decio morì, senza aver mai fatto ritorno nella capitale, si procedette persino alla sua damnatio memoriae.