Traiano

Busto di Traiano

Succeduto a Nerva nel 98, il nuovo imperatore si affrettò a creare una normativa nei confronti dei Cristiani e l’occasione gli venne fornita da una lettera di Plinio il Giovane, governatore della provincia di Bitinia, che gli chiedeva istruzioni proprio su come si dovesse comportare nei confronti dei Cristiani, che, a suo dire, erano numerosissimi in quella regione.

Il rescritto di Traiano a Plinio (Ep. X, 97) stabilì finalmente una precisa normativa che venne seguita, seppur con varie interpretazioni, fino almeno a Decio. L’autenticità del rescritto è pienamente attestata : esso è sicuramente il più antico documento ufficiale sui rapporti tra i  Cristiani e i Romani.

Plinio, da parte sua, dichiara (Ep. X, 96) di non aver mai preso parte ai processi (cognitionibus de Christianis interfui numquam). I processi di cui si parla, da quanto si può desumere dal testo, dovevano essere un fatto risaputo : è solo Plinio  (ideo nescio, quid et quatenus aut puniri soleat aut quaeri) a non conoscerli, causa la sua inesperienza personale.

E’ proprio dalla mancanza di disposizioni ufficiali da parte dell’imperatore che nasce la richiesta di precisazioni di Plinio, che, benché persuaso che i Cristiani confessi (perseverantes duci iussi) dovessero essere arrestati, era incerto su come comportarsi con quanti non si dichiaravano tali.

Dalle parole di Plinio risulta evidente che implicita nell’accusa di Cristianesimo stesse la colpa di impietas e di superstitio illicita, divenuta ormai una costante molto diffusa. Plinio non crede, tuttavia, che il Cristianesimo sia di per sé una religione contro la morale o pericolosa per l’impero e si premura di descrivere con precisione le riunioni dei Cristiani, di cui si era informato durante l’interrogatorio di due diaconesse, per tranquillizzare Traiano, preoccupato che fossero una sorta di eterie, cioè riunioni segrete di cospiratori.

In attesa di una risposta precisa, Plinio fece sospendere i processi (ideo dilata cognitione), finché non fosse giunto il parere di Traiano (ad consulendum te decucurri ... res digna consultatione), per evitare una strage inutile (propter periclitantium numerum).

Plinio si domanda soprattutto se il nomen Christianum sia una colpa di fatto (culpa) o di pensiero (error) e se siano dunque punibili per la loro scientia, il loro exercitium o la loro professio. In particolar modo egli constata che i flagitia presunti sono assenti e l’error (colpa) è solo religioso : era possibile imprigionarli e ucciderli solo in base a questo?

La risposta di Traiano fu un capolavoro di ambiguità ed è anche per questo motivo che fu adottata da quasi tutti gli imperatori, che però ne diedero personali interpretazioni, fino, come abbiamo detto, a Decio.

Il suo rescritto si articolava essenzialmente su tre punti :

Tertulliano affermava (Apologeticum II, 8) che il rescritto di Traiano fosse una  sententiam necessitate cunfusam” ed effettivamente non gli si può dare torto, dato che il rescritto, fin dalla sua data di pubblicazione, il 112/113, rappresentò agli occhi di tutti, Cristiani come Romani, una soluzione di compromesso.

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