Le completive di natura consecutiva sono affini a quelle finali - volitive per il fatto di essere poste appunto a complemento di una data espressione o verbo che le introduca, per il fatto di essere subordinate e di impiegare il congiuntivo.
Si distinguono dalle volitive, tuttavia, perchè esprimono, come dice il nome stesso, la consequenzialità dell'azione delineata nella reggente e perchè fanno uso di tutti e quattro i tempi del congiuntivo, accordati ovviamente secondo le regole della consecutio temporum.
Sono introdotte dalle congiunzioni ut o ut non.
Il congiuntivo presente od imperfetto esprime azione contemporanea a quella della principale, mentre il perfetto od il piuccheperfetto esprimono anteriorità.
Le espressioni che più frequentemente le introducono sono:
Verbi di avvenimento: fit, accidit ... ut
Espressioni impersonali: reliquum est, sequitur, extremum est ... ut
Espressioni che indicano risultato: ex quo efficitur, committo ... ut
Espressioni composite: lex, mos, consuetudo, tempus est ... ut
Esempi: Tempus erat res ut initium haberet - era il momento che la cosa avesse inizio
Ex quo efficitur ut voluptas non summum sit bonum - da ciò deriva che il piacere non è il bene supremo
Ita fit ut nemo interfiat equitatus sagittis - così avviene che nessuno venga ucciso dalle frecce della cavalleria
Esempio:
IV. Sic fit ut isti de domino
loquantur quibus coram domino loqui non licet. At illi quibus non tantum coram dominis sed cum ipsis erat
sermo, quorum os non consuebatur, parati erant pro domino porrigere ceruicem, periculum inminens in caput suum
auertere; in conuiuiis loquebantur, sed in
tormentis tacebant. - così accade che parlino ( male ) del padrone costoro ai
quali non è concesso parlare apertamente al padrone. Invece quelli che non solo
potevano parlare ai padroni apertamente, ma avevano con loro una conversazione
amichevole, ai quali non veniva cucita la bocca, erano pronti a dare la propria
testa per il padrone, a deviare verso il proprio capo il pericolo imminente:
parlavano ai banchetti, ma tacevano sotto tortura. ( Seneca, Epistulae ad
Lucilium, 47 )