ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
CREMETE, MENEDEMO
CREMETE E' vero che ci conosciamo da poco , cioè da quando hai comperato un campo vicino a me, e non abbiamo mai avuto in comune altro che questo fatto. Ma le tue qualità di uomo ed la vicinanza - che reputo simile all'amicizia - mi obbligano a dirti con franchezza e in tutta confidenza che lavori troppo per la tua età e per i tuoi mezzi. Per gli dei !, cosa vuoi? Che cerchi? Hai sessant'anni o forse di più, come suppongo. Qui attorno non c'è nessuno con un terreno più fertile o che valga più del tuo. Hai una gran quantità di servi: ma è come se tu fossi solo, tanto ti ostini a lavorare al posto loro. Benché esca tanto presto al mattino e torni tardi la sera, tu sei sempre lì nel tuo campo, tutto intento a zappare, ad arare, a trasportare qualcosa; insomma non ti riposi un momento e non pensi alla tua salute. Non ti fa certo
piacere faticare tanto: "il fatto è" tu mi dirai "che qui si lavora poco e io non lo sopporto". Ma perché spezzarsi la schiena sulle zolle, quando guadagneresti di più a far lavorare loro!
MENEDEMO Hai tanto tempo da perdere, Cremete, che non pensi agli affari tuoi e ti occupi di quelli degli altri, che non ti riguardano affatto?
CREMETE Sono un uomo e tutto ciò che è umano mi riguarda. Tu piuttosto interpreta le mie parole come un consiglio per me o come una domanda: se è giusto vivere come fai tu, perché ti imiti anch'io; e se non è giusto, per farti riflettere.
MENEDEMO lo sono contento di questa vita, alla tua pensaci tu, come ti pare meglio.
CREMETE Ma chi Può essere contento di tormentarsi?
MENEDEMO Io.
CREMETE Non vorrei che tu avessi dei dispiaceri.Ma cosa ti rode, dimmi? Che cosa hai fatto per punirti fino a questo punto?
MENEDEMO Ahimè!
CREMETE Non piangere e fammi intendere qual è il tuo problema. Non stare lì zitto, fatti coraggio; insomma, credi in me: sono a tua disposizione per consolarti, consigliarti, o anche per aiutarti concretamente.
MENEDEMO Sei proprio sicuro di volermi ascoltare?
CREMETE ( Sì ) per il motivo che ti ho appena detto.
MENEDEMO Parlerò.
CREMETE Ma intanto metti giù questo rastrello e riposati un po'.
MENEDEMO No.
CREMETE Ma che cosa credi di dimostrare?
MENEDEMO Voglio faticare fino a sfinirmi: lasciami.
CREMETE E io non te lo permetterò
MENEDEMO Lascia, non è giusto!
CREMETE Accidenti, come pesa questo arnese!
MENEDEMO Il peso che mi merito.
CREMETE Parla, adesso.
MENEDEMO Ho un figlio solo, un ragazzo. Ma perché ho detto che ho un figlio? L'ho avuto,
Cremete; ma in questo momento non so se l'ho ancora o
no .
CREMETE Che discorso è mai questo?
MENEDEMO Stai a sentire. è venuta ad abitare qui, da Corinto, una vecchia poverissima con sua figlia e lui ha perso la testa per la ragazza, al punto quasi di considerarla già sua moglie : e tutto a mia insaputa. Quando ho scoperto il fatto, ho reagito con violenza, senza la comprensione che ci vuole
per le pene d'amore di un adolescente: lo trattavo con durezza, con i modi che di solito usano i padri.
Testo originale
ACTVS I - I
CH. Quamquam haec inter nos nuper notitia admod
(inde adeo quod agrum in proxumo hic mercatus e
nec rei fere sane amplius quicquam fuit,
tamen uel uirtus tua me uel uicinitas,
quod ego in propinqua parte amicitiae puto,
facit ut te audacter moneam et familiariter
quod mihi uidere praeter aetatem tuam
facere et praeter quam res te adhortatur tua.
Nam pro deum atque hominum fidem quid uis tibi
quid quaeris? Annos sexaginta natus es
aut plus eo, ut conicio; agrum in his regionibu
meliorem neque preti maiori' nemo habet;
seruos compluris: proinde quasi nemo siet,
ita attente tute illorum officia fungere.
Numquam tam mane egredior neque tam uesperi
domum reuortor quin te in fundo conspicer
fodere aut arare aut aliquid ferre denique.
Nullum remitti' tempu' neque te respicis.
Haec non uoluptati tibi esse sati' certo scio. At
enim dices "quantum hic operi' fiat paenitet".
Quod in opere faciundo operae consumis tuae,
si sumas in illis exercendis, plus agas.
ME. Chreme, tantumne ab re tuast oti tibi
aliena ut cures ea quae nil ad te attinent?
CH. Homo sum: humani nil a me alienum puto.
Vel me monere hoc uel percontari puta:
rectumst ego ut faciam; non est te ut deterream.
ME. Mihi sic est usu'; tibi ut opu' factost face.
CH. An quoiquamst usus homini se ut cruciet? ME. Mihi.
CH. Si quid laborist nollem. Sed quid istuc malist?
Quaeso, quid de te tantum meruisti? ME. Eheu!
CH. Ne lacruma atque istuc, quidquid est, fac me ut sciam:
ne retice, ne uerere, crede inquam mihi:
aut consolando aut consilio aut re iuuero.
ME. Scire hoc uis? CH. Hac quidem causa qua dixi tibi.
ME. Dicetur. CH. At istos rastros interea tamen
adpone, ne labora. ME. Minime. CH. Quam rem agis?
ME. Sine me uociuom tempu' nequod dem mihi
labori'. CH. Non sinam, inquam. ME. Ah non aequom facis.
CH. Hui tam grauis hos, quaeso? ME. Sic meritumst meum.
CH. Nunc loquere. ME. Filium unicum adulescentulum
habeo. Ah quid dixi habere me? Immo habui, Chreme;
nunc habeam necne incertumst. CH. Quid ita istuc? ME. Scies.
Est e Corintho hic aduena anu' paupercula;
eius filiam ille amare coepit perdite,
prope iam ut pro uxore haberet: haec clam me omnia.
Vbi rem resciui coepi non humanitus
neque ut animum decuit aegrotum adulescentuli
tractare, sed ui at uia peruolgata patrum.