Tacito

Annales

 

Liber XV, 51 

La liberta Epicari

 

Nel frattempo, mentre tutti attendevano e temporeggiavano, una cera Epicari - non si sa come fosse venuta a conoscenza della congiura ( infatti in precedenza non aveva mai mostrato alcun interesse per la politica ) provò in ogni modo a fomentare paura e speranza, a stimolare i congiurati ed alla fine, esasperata dalla loro lentezza e radunati in Campania i migliori marinai della flotta del capo Miseno, prese ad istigarli alla ribellione ed a legarli a sè con il vincolo della complicità a dare il via alla rivolta. L'ammiraglio della flotta era Volusio Proculo, che era fra quei cortigiani che avevano ucciso la madre di Nerone, ma non aveva fatto molta strada come si poteva pensare grazie alla gravità di quel delitto. Costui, sia che avesse conosciuto un tempo la donna, sia che la loro amicizia fosse sorta da poco, poichè le confidò i suoi meriti presso Nerone e quanto fossero stati inutili ed aggiunse le sue lamentele ed il proposito di vendicarsi, se fosse sorta la possibilità, le diede la speranza che potesse essere spinto alla sua causa e che ne si potessero radunare parecchi: e dalla flotta avrebbe ricevuto un aiuto non di poco peso, e molte occasioni propizie, poichè a Nerone piaceva molto navigare vicino a Pozzuoli ed al capo Miseno . Poi Epicari si mise a parlare di molte questioni; inizia a raccontare tutti i delitti dell'imperatore e del fatto che al senato non rimaneva più alcun potere. Ma si era pensato in che modo fargli pagare il fatto che lo stato era in rovina : si doveva solo prestare a dare il suo aiuto e radunare i soldati più agguerriti, ed avrebbe avuto una degna ricompensa. Tenne per sè, tuttavia, i nomi dei congiurati. Così la delazione di Proculo fu vana, benchè avesse riferito a Nerone tutto ciò che aveva ascoltato. Fu infatti mandata a chiamare Epicari e, portata a confronto con l'accusatore, dato che non erano presenti testimoni, confutò facilmente un'accusa non suffragata da prove. Tuttavia fu trattenuta in prigione, visto che Nerone sospettava che non fossero false anche quelle accuse che non venivano provate essere vere.

 

Testo originale

 

LI. Interim cunctantibus prolatantibusque spem ac metum Epicharis quaedam, incertum quonam modo sciscitata ( neque illi ante ulla rerum honestarum cura fuerat ), accendere et arguere coniuratos, ac postremum lentitudinis eorum pertaesa et in Campania agens primores classiariorum Misenensium labefacere et conscientia inligare conisa est tali initio. Erat nauarchus in ea classe Volusius Proculus, occidendae matris Neroni inter ministros, non ex magnitudine sceleris prouectus, ut rebatur. Is mulieri olim cognitus, seu recens orta amicitia, dum merita erga Neronem sua et quam in inritum cecidissent aperit adicitque questus et destinationem uindictae, si facultas oreretur, spem dedit posse impelli et pluris conciliare: nec leue auxilium in classe, crebms occasiones, quia Nero multo apud Puteolos et Misenum maris usu laetabatur. Ergo Epicharis plum; et omnia scelera principis orditur, neque senatui quidquam manere. Sed prouisum quonam modo poenas euersae rei publicae daret: accingeretur modo nauare operam et militum acerrimos ducere in partis, ac digna pretia expectaret; nomina tamen coniuratorum reticuit. Vnde Proculi indicium inritum fuit, quamuis ea quae audierat ad Neronem detulisset. Accita quippe Epicharis et cum indice composita nullis testibus innisum facile confutauit. Sed ipsa in custodia retenta est, suspectante Nerone haud falsa esse etiam quae uera non probabantur.

 

 

Liber XV, 57

La fine di Epicari

 

E nel frattempo Nerone, quando si ricordò che Epicari veniva tenuta in prigione per l'accusa di Valerio Proculo e pensò che il corpo di una donna non sapesse sopportare bene il dolore, ordinò di torturarla. Ma nè le percosse, nè i ferri roventi, nè l'ira dei torturatori, che si incrudelivano ancor di più, per non essere disprezzati da una donna, riuscirono a convincerla a smettere di negare le accuse che le venivano rivolte. così il primo giorno di interrogatorio passò senza risultati. Il giorno dopo, mentre veniva portata su una portantina- infatti non era in grado di reggersi in piedi, con gli arti spezzati - alle solite torture, mise il collo dentro il cerchio della fascia che si era levata dal petto, dopo averlo stretto come un laccio alla spalliera della sedia e, sforzandosi col peso del corpo con quel poco di vita che le rimaneva, morì, proteggendo, lei, donna schiava affrancata, con un esempio davvero illustre in una situazione così importante, uomini estranei e pressochè sconosciuti, mentre uomini liberi, cavalieri e senatori romani, che non erano ancora stati torturati, tradivano ciascuno i propri parenti più cari. 

 

Testo originale

 

LVII. Atque interim Nero recordatus Volusii Proculi indicio Epicharin attineri ratusque muliebre corpus impar dolori tormentis dilacemri iubet. At illam non uerbera, non ignes, non ira eo acrius torquentium ne a femina spemerentur, peruicere quin obiecta denegaret. Sic primus quaestionis dies contemptus. Postero cum ad eosdem cruciatus retraheretur gestamine sellae ( nam dissolutis membris insistere nequibat ), uinclo fasciae, quam pectori detraxerat, in modum laquei ad arcum sellae restricto indidit ceruicem et corporis pondere conisa tenuem iam spiritum expressit, clariore exemplo libertina mulier in tanta necessitate alienos ac prope ignotos protegendo, cum ingenui et uiri et equites Romani senatoresque intacti tormentis carissima suorum quisque pignorum proderent.