Giungemmo al mercato mentre il sole volgeva al tramonto, e lì notammo una grande quantità di merci in vendita, non certo preziose, ma la cui scarsa qualità veniva tenuta facilissimamente nascosta dall'oscurità. Poichè, dunque, anche noi avevamo portato un mantello che era frutto di un furto, approfittammo subito dell'occasione più che opportuna e ci mettemmo ad agitare in un angoletto un lembo della stoffa, perchè qualche compratore per caso potesse essere attirato dallo splendore della veste . E non si dovette attendere a lungo che un contadino, che non era del tutto sconosciuto ai miei occhi, con la moglie che lo accompagnava, si avvicinò e prese ad esaminare accuratamente il mantello. Ascilto a sua volta pianta gli occhi sulle spalle del compratore ed improvvisamente tacque rimanendo senza fiato. E nemmeno io riuscivo a guardarlo senza essere tutto agitato,perchè mi sembrava proprio che fosse quello che aveva trovato la mia tunica abbandonata. Era proprio lui . Ma poichè Ascilto non credeva ai propri occhi e non voleva fare qualcosa di imprudente, si avvicinò come se volesse comprarla e si mise a tastarne un lembo dalle spalle del contadino, meticolosamente.
Testo originale
XII. Veniebamus in forum deficiente iam die, in quo notauimus frequentiam rerum uenalium, non quidem pretiosarum sed tamen quarum fidem male ambulantem obscuritas temporis facillime tegeret. Cum ergo et ipso raptum latrocinio pallium detulissemus, uti occasione opportunissima coepimus atque in quodam angulo laciniam extremam concutere, si quem forte emptorem splendor uestis posset adducere. Nec diu moratus rusticus quidam familiaris oculis meis cum muliercula comite propius accessit ac diligentius considerare pallium coepit. Inuicem Ascyltos iniecit contemplationem super umeros rustici emptoris, ac subito exanimatus conticuit. Ac ne ipse quidem sine aliquo motu hominem conspexi, nam uidebatur ille mihi esse, qui tunicam in solitudine inuenerat. Plane is ipse erat. Sed cum Ascyltos timeret fidem oculorum, ne quid temere faceret, prius tanquam emptor propius accessit detraxitque umeris laciniam et diligentius temptauit.
XIII Che incredibile botta di fortuna! Quel bifolco non era curioso e fino a quel momento non aveva ancora frugato tra le cuciture, ma cercava di sbarazzarsi del mantello con aria seccata e come se si trattasse dello straccio di un barbone. Ascilto, rendendosi conto che il malloppo non era stato toccato e che il tipo non era un'aquila come venditore, mi prende in disparte e mi fa: «Ti rendi conto, fratello mio, che abbiamo di nuovo in mano il tesoro che tanto mi ha fatto piangere? Il mantello è proprio quello e a quanto pare dentro ci sono ancora le monete d'oro che fino ad oggi nessuno ha toccato. Che si fa dunque, e a che titolo possiamo rivendicare la nostra roba?». E io, gongolando non solo per il fatto di vedermi davanti il bottino ma anche perché la sorte mi aveva liberato dalla vergogna del sospetto, gli dissi che non bisognava ricorrere a maneggi, ma che era meglio basarsi sul codice senza tanti sotterfugi, in modo tale che, se quei due non volevano restituire la roba al legittimo proprietario, la faccenda venisse portata davanti al pretore.
Testo originale
XIII. O lusum fortunae mirabilem! Nam adhuc ne suturae quidem attulerat rusticus curiosas manus, sed tanquam mendici spolium etiam fastidiose uenditabat. Ascyltos postquam depositum esse inuiolatum uidit et personam uendentis contemptam, seduxit me paululum a turba et: "Scis, inquit, frater, rediisse ad nos thesaurum de quo querebar? Illa est tunicula adhuc, ut apparet, intactis aureis plena. Quid ergo facimus, aut quo iure rem nostram uindicamus?" Exhilaratus ego non tantum quia praedam uidebam, sed etiam quod fortuna me a turpissima suspicione dimiserat, negaui circuitu agendum, sed plane iure ciuili dimicandum, ut si nollet alienam rem domino reddere, ad interdictum ueniret.