Lettere dall'esilio I, IV
Ormai per me l'età peggiore è spruzzata di capelli bianchi, ed ormai una ruga senile ara il mio volto: ormai il vigore e le forze languono nel corpo sfinito, e non mi giovano quegli svaghi poetici che mi piacquero da giovane. E non puoi riconoscermi se mi vedi all'improvviso: tanto grande è la devastazione compiuta dalla mia età. Confesso che gli anni mi fanno questo, ma c'è anche un'altra causa, l'ansietà d'animo e la fatica continua.
Suppongo che anche tu, che lasciai partendo dalla città, giovane, sia invecchiata per i nostri dolori; oh, io - lo permettano gli dei - ti possa scorgere così, e dare dolci baci sui capelli cambiati; abbracciare con le mie braccia un corpo non grasso e dire: "lo ha reso gracile l'affanno per me"; e narrare i miei travagli a te che piangi mentre io stesso sto piangendo, e godere di un colloquio insperato.
Testo originale
IV. Iam mihi deterior canis aspergitur aetas,
iamque meos uultus ruga senilis arat:
iam uigor et quasso languent in corpore uires,
nec, iuueni lusus qui placuere, iuuant.
Nec, si me subito uideas, agnoscere possis,
aetatis facta est tanta ruina meae.
Confiteor facere hoc annos, sed et altera causa est,
anxietas animi continuusque labor.
Te quoque, quam iuuenem discedens urbe reliqui,
credibile est nostris insenuisse malis.
O, ego di faciant talem te cernere possim,
caraque mutatis oscula ferre comis,
amplectique meis corpus non pingue lacertis,
et "gracile hoc fecit" dicere "cura mei",
et narrare meos flenti flens ipse labores,
sperato numquam conloquioque frui,