A. Perché mai, Eros, mettesti fuori combattimento tutti gli altri dei, Zeus, Poseidone, Apollo, Rea, io che sono tua madre, ma solo da Atena stai alla larga e la tua fiaccola è spenta quando si tratta di lei, sei senza dardi e manchi il bersaglio
E. Ne ho paura, madre: infatti è spaventosa, dallo sguardo torvo e terribilmente virile; ogni volta, dunque, che mi avvicino a lei avendo teso l’arco, mi scaccia agitando il pennacchio e divento tutto tremolante e le frecce mi cadono di mano.
A. Ma Ares non era più temibile? Tuttavia lo disarmasti e l’hai vinto.
E. Ma lui mi lascia volentieri avvicinare e mi invita, mentre Atena mi guarda sempre di traverso; talora io casualmente le volai vicino con la fiaccola , e lei mi dice: “se provi ad avvicinarti, per il Padre, trapassandoti con una lancia o afferrandoti per un piede e gettandoti nel Tartaro o facendoti a pezzi io stessa ti annienterò”. Fece infatti molte minacce di tal genere; e mi guarda biecamente ed ha una faccia spaventosa anguicrinita sulla corazza, che io temo tantissimo: infatti mi spaventa ed io fuggo quando la vedo.
A. Ma temi Atena, come dici, la Gorgone e queste cose, pur non temendo la saetta di Zeus. Allora le Muse, perché sono per te invulnerabili e fuori tiro. O forse anche loro agitano pennacchi e mostrano gorgoni?
E. le rispetto, madre, infatti sono venerabili e pensano sempre qualcosa, e sono impegnate nel canto ed io mi accosto spesso a loro attratto dal canto.
A. Lasciamo perdere anche loro, perché sono venerabili, ma Artemide, perché mai non la colpisci?
E. In generale non è possibile prenderla anche perché fugge sempre per i monti; poi ha già un suo amore
A. Per chi, figlio?
E. Per la caccia dei cervi o dei cerbiatti, e desiderando catturarli e abbatterli a frecciate vi è devota totalmente; e poi proprio suo fratello, benchè sia anche lui cacciatore e lungisaettante …
A. Lo so, figlio, molte volte lo raggiungesti con le tue frecce
C. Padre, che mali ho sofferto da quel maledetto straniero che, dopo avermi ubriacato mi accecò avendomi assalito mentre dormivo
P. Chi era dunque colui che osò fare queste cose, Polifemo?
C. Da principio diceva di chiamarsi Nessuno, e dopo che fuggì via ed era fuori tiro dai dardi disse di chiamarsi Odisseo.
P. Conosco chi tu dici, l’Itacense, tornava da Troia per mare; ma come riuscì a fare queste cose, visto che non era neppure troppo coraggioso?
C. Sorpresi nella grotta di ritorno dal pascolo molti uomini, che tendevano insidie evidentemente alle greggi; quando infatti gettai sulla soglia il coperchio – ed era una pietra enorme – e riaccesi il fuoco bruciando l’albero che portavo dal monte, apparvero mentre tentavano di nascondersi: ma io, afferratone alcuni, come era naturale li inghiottii, perché era chiaro che si trattava di ladri. Allora quel maledettissimo, che fosse Nessuno o Odisseo, mi dà da bere un veleno dopo averlo versato, dolce e profumato, ma molto insidioso e davvero sconvolgente; infatti subito tutte le cose mi sembravano girare intorno dopo aver bevuto e la grotta stessa si capovolgeva e non ero più totalmente in me; sprofondai alla fine nel sonno. E quello, acuminato il palo e resolo pure incandescente, mi cavò l’occhio mentre dormivo e da allora eccomi cieco, Poseidone.
P. Come dormisti profondamente, figlio, da non balzare su mentre venivi accecato! Allora dunque Odisseo come ti sfuggì? So infatti che non avrebbe potuto smuovere la pietra dalla soglia
C. Ma sono stato io a rimuoverla, per catturarlo meglio mentre usciva, e sdraiandomi presso la soglia lo cercavo con le mani protese, lasciando andare solo le pecore al pascolo, dopo aver ordinato al montone di fare lui al mio posto ciò che era necessario.
P. Comprendo: uscirono di nascosto sotto le pecore; ma bisognava che tu chiamassi gli altri ciclopi contro di lui.
C. Li chiamai, padre, e vennero: ma quando mi domandarono il nome dell’aggressore e io dissi che era Nessuno, credendomi pazzo se ne andarono allontanandosi. Così mi ingannò il maledetto con la faccenda del nome. E quello che più mi fece arrabbiare fu che disse rinfacciandomi la sventura: “nemmeno tuo padre Poseidone ti curerà”.
P. Fatti coraggio, figlio; lo punirò, infatti, perché, anche se non posso curare la cecità degli occhi, però i destini dei naviganti – salvarli o farli morire – sono roba mia: egli naviga ancora.
Car. Paga, maledettissimo, il dazio
Men. Grida, Caronte, se ti è più piacevole
Car. Paga, ti dico, il prezzo per cui ti traghettai
Men. Non riusciresti ad ottenerlo da chi non l’ha
Car. Ma c’è qualcuno che non abbia un obolo?
Men. Se c’è qualcun altro non so, io tuttavia non l’ho
Car. E io ti strozzerò, per Plutone, briccone, se non lo paghi
Men. Ed io con un colpo di bastone ti spappolerò il cranio
Car. Invano dunque avrai compiuto questa navigazione?
Men. Ermes ti paghi al posto mio, lui che mi consegnò a te
Erm. Per Zeus, avrei proprio fatto un bell’affare, se devo pagare anche per i morti
Car. Non mi allontanerò da te
Men. Se è per questo, rimani pure, una volta tirata in secco la barca; del resto, come potresti pretendere ciò che io non ho?
Car. Ma non sapevi che bisognava portarlo?
Men. Lo sapevo, ma non l’avevo. Che dunque, avrei dovuto per questo non morire?
Car. Solo tu dunque ti vanterai di aver viaggiato gratis?
Men. Non gratis, carissimo: infatti svuotai persino l’acqua dalla barca e misi mano con te al remo, e io solo non piangevo fra tutti gli altri passeggeri
Car. Questi fatti non contano per il nocchiero: devi pagare l’obolo: non è lecito che avvenga diversamente
Men. E allora riportami nuovamente in vita
Car. Questa è bella, per prendermi poi delle botte per questo da Eaco
Men. Allora non darmi fastidio
Car. Mostrami quello che hai nella bisaccia
Men. Lupini, se vuoi, e il cibo di Ecate
Car. Da dove portasti questo cane, Ermes? E come blaterava durante la navigazione, deridendo tutti gli altri viaggiatori e raccontando barzellette; solo lui cantava mentre quelli si lamentavano.
Erm. Non sai, Caronte, chi traghettasti? Totalmente libero, e non gli importa di nulla. Questo è Menippo
Car. Eppure se un volta ti prendo…
Men. Se mi prendessi, carissimo: ma non potresti prendermi una seconda volta