Tito Livio

 

La fine del ratto delle Sabine

Ab Urbe condita I,13

Allora le donne sabine, a causa delle quali era scoppiata la guerra, con i capelli sciolti e le vesti strappate, vinto dai mali il timore tipico delle donne, osarono gettarsi fra i dardi che volavano, separare le schiere nemiche dopo aver essersi gettate in mezzo dal lato, e porre fine alle ire, pregando da una parte i padri e dall'altra i figli, che non le macchiassero col sangue nefando dei suoceri e dei generi e che non insozzassero col parricidio i propri figli, i primi la discendenza dei nipoti, i secondi quella dei figli. " Se vi  danno fastidio la parentela che esiste tra di voi ed il matrimonio, volgete le vostre ire contro di noi : noi siamo la causa della guerra, noi delle ferite e delle morti per mariti e genitori. Faremo meglio a morire piuttosto che vivere vedove od orfane di uno o l'altro di voi". Questo gesto commuove sia la folla che i comandanti : calano improvvisi il silenzio e la quiete. Poi avanzano i comandanti per stipulare un patto; e non siglano solamente la pace, ma creano una sola città da due che erano. Associano i due regni, portano tutto il potere a Roma. Così, resa duplice la città, perché qualcosa fosse concesso anche ai Sabini, presero il nome di Quiriti dai Curii.

 

Testo Originale

XIII. Tum Sabinae mulieres, quarum ex iniuria bellum ortum erat, crinibus passis scissaque ueste, uicto malis muliebri pauore, ausae se inter tela uolantia inferre, ex transuerso impetu facto dirimere infestas acies, dirimere iras, hinc patres, hinc patres, hinc uiros orantes, ne se sanguine nefando soceri generique respergerent, ne parricidio macularent partus suos, nepotum illi, hi liberum progeniem. "Si adfinitatis inter uos, si conubii piget, in nos uertite iras; nos causa belli, nos uolnerum ac caedium uiris ac parentibus sumus; melius peribimus quam sine alteris uestrum uiduae aut orbae uiuemus." Mouet res cum multitudinem tum duces; silentium et repentina fit quies; inde ad foedus faciendum duces prodeunt. Nec pacem modo sed ciuitatem unam ex duabus faciunt. Regnum consociant: imperium omne conferunt Romam. Ita geminata urbe ut Sabinis tamen aliquid daretur Quirites a Curibus appellati.

 

 

 

L'assalto notturno dei Galli a Roma

Ab Urbe condita, V, 47


Mentre a Veio si discutevano questi fatti, nel frattempo la rocca romana ed il Campidoglio furono in grande pericolo. Infatti i Galli, sia che avessero notato tracce del passaggio di un uomo dove il messaggero era giunto da Veio, sia che si fossero accorti di una roccia adatta alla scalata presso il tempio di Carmenta, durante la notte molto chiara, dopo aver mandato avanti un uomo che, senza armi, tentasse al via, consegnando poi loro le armi dove ci fosse qualche difficoltà, gli uni con gli altri, spingendosi e sollevandosi a vicenda e trascinandosi l'uno con l'altro, come il luogo richiedeva, in tanto silenzio raggiunsero di soppiatto la cima che ingannarono non solo le sentinelle, ma non svegliarono neppure i cani, che pure sono animali che si svegliano facilmente per i rumori notturni. 

Testo originale

XLVII. Dum haec Veiis agebantur, interim arx Romae Capitoliumque in ingenti periculo fuit. Namque Galli, seu uestigio notato humano qua nuntius a Veiis peruenerat seu sua sponte animaduerso ad Carmentis saxo adscensu aequo, nocte sublustri cum primo inermem qui temptaret uiam praemisissent, tradentes indc arma ubi quid iniqui esset, alterni innixi subleuantesque in uicem et trahentes alii alios, prout postularet locus, tanto silentio in summum euasere ut non custodes solum fallerent, sed ne canes quidem, sollicitum animal ad nocturnos strepitus, excitarent. 

 

Le oche salvano Roma

Ab Urbe condita, V, 47

Non ingannarono le oche che, per il fatto di essere sacre a Giunone, anche nell'estrema scarsità di cibo tuttavia venivano risparmiate. E questo fatto garantì la salvezza; infatti M. Manlio, che tre anni prima era stato console, uomo di ottima disciplina militare, svegliato dal loro starnazzare e dal rumore delle ali, afferrate le armi, si precipita risoluto chiamando tutti gli altri alle armi e mentre gli altri si preparano in fretta colpisce con l'umbone e fa precipitare un Gallo che già si era fermato sulla sommità.Mentre dunque la caduta di costui, che era scivolato, travolgeva quelli più vicini, abbatte altri Galli impauriti che, abbandonate le armi, abbracciavano le rocce alle quali tentavano di aggrapparsi con le mani. Ormai altri riunitisi procuravano confusione ai nemici con dardi, frecce e sassi, e al schiera dei nemici al completo, travolta dalla caduta, cade a precipizio. Una volta messa fine alla confusione, il resto della notte fu dedicato al riposo, per quanto era possibile nelle menti sconvolte, poiché il pericolo passato li teneva in ansia.

Testo originale

Anseres non fefellere quibus sacris lunonis in summa inopia cibi tamen abstinebatur. Quae res saluti fuit; namque clangore eorum alarumque crepitu excitus M. Manlius qui triennio ante consul fuerat, uir bello egregius, armis arreptis simul ad arma ceteros ciens uadit et dum ceteri trepidant, Gallum qui iam in summo constiterat umbone ictum deturbat. Cuius casus prolapsi cum proximos sterneret, trepidantes alios armisque omissis saxa quibus adhaerebant manibus amplexos trucidat. Iamque et alii congregati telis missilibusque saxis proturbare hostes, ruinaque tota prolapsa acies in praeceps deferri. Sedato deinde tumultu reliquum noctis, quantum in turbatis mentibus poterat cum praeteritum quoque periculum sollicitaret, quieti datum est.

 

La nascita di Romolo e Remo

Ab Urbe condita, I, 4 

    Ma, come penso, l’origine di una così grande città ed il principio dell’impero più grande dopo la potenza degli dei erano dovuti al Fato. La Vestale violata, dopo aver dato alla luce due gemelli, sia che lo pensasse veramente, sia che un dio come responsabile della colpa fosse più onesto, proclama solennemente Marte padre della sua prole illegittima. Ma né gli dei, né gli uomini possono liberare lei o i figli della crudeltà del re; la sacerdotessa viene imprigionata in catene, (il re) ordina di gettare i figli nella corrente del fiume. Per un qualche caso voluto dal Fato, il Tevere, straripato oltre agli argini in placidi stagni, non poteva essere raggiunto fino al suo corso naturale e dava la speranza a coloro che portavano i bambini che essi potessero annegare pur nell’acqua tranquilla. Così, pensando di aver eseguito l’ordine del re, depongono i bambini nello stagno più vicino, dove ora c’è il fico Ruminale – raccontano che fosse chiamato Romulare. 

Testo originale

IV. Sed debebatur, ut opinor, fatis tantae origo urbis maximique secundum deorum opes imperii principium. Vi compressa Vestalis cum geminum partum edidisset, seu ita rata seu quia deus auctor culpae honestior erat, Martem incertae stirpis patrem nuncupat. Sed nec di nec homines aut ipsam aut stirpem a crudelitate regia uindicant: sacerdos uincta in custodiam datur, pueros in profluentem aquam mitti iubet. Forte quadam diuinitus super ripas Tiberis effusus lenibus stagnis nec adiri usquam ad iusti cursum poterat amnis et posse quamuis languida mergi aqua infantes spem ferentibus dabat. Ita uelut defuncti regis imperio in proxima alluuie ubi nunc ficus Ruminalis est - Romularem uocatam ferunt - pueros exponunt. 

 

 

La lupa alleva i gemelli 

Ab Urbe condita, I, 4 

Vi erano, a quei tempi, vaste pianure desolate in quei luoghi. Perdura la tradizione che, quando l’esigua quantità d’acqua lasciò in secco il letto del fiume dove erano stati deposti i bambini, una lupa assetata dai monti che sono tutti intorno cambiò percorso seguendo i vagiti dei bambini. E che essa con tanta mansuetudine offrì ai bambini il seno disteso che un pastore del gregge del re la trovò mentre lambiva con la lingua i bambini – raccontano che si chiamasse Faustolo; e che da lui furono consegnati, perché li allevasse, alla moglie Larenzia, nella sua dimora. Ci sono persone che pensano che Larenzia, per aver venduto il proprio corpo, fu chiamata Lupa fra i pastori; da questo fatto fu dato spazio alla incredibile leggenda. Così nati e così allevati, appena crebbero in età, percorrevano i boschi cacciando, non rimanendo oziosi nelle stalle o nel curare il bestiame. Poi, fattisi robusti nel corpo e nell’animo, non cacciavano solo le fiere, ma attaccavano i briganti carichi di bottino, dividevano ciò che avevano catturato con i pastori e, assieme a loro, mentre la schiera di giovani aumentava di giorno in giorno, attendevano alle occupazioni serie ed agli svaghi.

Testo originale

Vastae tum in his locis solitudines erant. Tenet fama cum fluitantem aluem, quo expositi erant pueri, tenuis in sicco aqua destituisset, lupam sitientem ex montibus qui circa sunt ad puerilem uagitum cursum flexisse; eam submissas infantibus adeo mitem praebuisse mammas ut lingua lambentem pueros magister regii pecoris inuenerit - Faustulo fuisse nomen ferunt; ab eo ad stabula Larentiae uxori educandos datos. Sunt qui Larentiam uolgato corpore lupam inter pastores uocatam putent; inde locum fabulae ac miraculo datum. Ita geniti itaque educati, cum primum adoleuit aetas, nec in stabulis nec ad pecora segnes uenando peragrare saltus. Hinc robore corporibus animisque sumpto iam non feras tantum subsistere sed in latrones praeda onustos impetus facere pastoribusque rapta diuidere et cum his crescente in dies grege iuuenum seria ac iocos celebrare.

 

 

Ab Urbe Condita I,9

Il ratto delle Sabine

Sconvolta la festa a causa della paura, i genitori delle fanciulle sdegnati si danno alla fuga, denunciando la violazione del diritto di ospitalità ed invocando il dio, alla solennità ed ai giochi del quale erano giunti, ingannati contro la legge religiosa e contro la parola data. Né le donne rapite avevano miglior speranza sulla propria sorte né la loro indignazione era minore. Ma Romolo in persona si aggirava ( fra le donne ) e spiegava che quell’azione era stata compiuta per la superbia dei loro padri, che avevano negato il matrimonio ai ( Romani ) confinanti; esse, tuttavia, sarebbero state spose ed avrebbero condiviso tutti i beni, la cittadinanza e – fatto di cui non esiste nulla di più gradito al genere umano – i figli; frenassero almeno l’ira e dessero i loro animi a coloro cui il destino già aveva dato i loro corpi.

Spesso da un’offesa nasce poi l’affetto ed avrebbero trovato i loro mariti tanto migliori, in quanto ciascuno per parte sua avrebbe cercato, una volta compiuto a sua volta il suo compito, di colmare anche la nostalgia dei genitori e della patria. Si aggiungevano le dolci parole dei mariti che giustificavano l’accaduto con la passione amorosa, che sono un argomento davvero efficace e piegare l’animo femminile.

 

Testo Originale

Turbato per metum ludicro maesti parentes uirginum profugiunt, incusantes uiolatum hospitii foedus deumque inuocantes cuius ad sollemne ludosque per fas ac fidem decepti uenissent. Nec raptis aut spes de se melior aut indignatio est minor. Sed ipse Romulus circumibat docebatque patrum id superbia factum qui conubium finitimis negassent; illas tamen in matrimonio, in societate fortunarum omnium ciuitatisque et quo nihil carius humano generi sit liberum fore; mollirent modo iras et, quibus fors corpora dedisset, darent animos; saepe ex iniuria postmodum gratiam ortam; eoque melioribus usuras uiris quod adnisurus pro se quisque sit ut, cum suam uicem functus officio sit, parentium etiam patriaeque expleat desiderium. Accedebant blanditiae uirorum, factum purgantium cupiditate atque amore, quae maxime ad muliebre ingenium efficaces preces sunt.

 

 

La scomparsa di Romolo

Ab Urbe condita, I, 16

Dopo aver compiuto queste opere immortali, mentre teneva un’assemblea al campo (Marzio) presso la palude della Capra, per passare in rassegna l’esercito, una tempesta scoppiata all’improvviso con gran fragore e tuoni avvolse il re con una nuvola così spessa che tolse la vista di lui all’assemblea; e Romolo non fu più in terra. I giovani Romani, quando infine si calmò la paura, dopo che da una tempesta così oscura tornò la luce chiara e serena, quando videro vuoto il trono del re, anche se avevano abbastanza fiducia nei senatori, che avevano occupato le posizioni a lui più vicine (e che affermavano) che (Romolo) fosse stato rapito al cielo dalla tempesta, tuttavia, quasi colpiti dal terrore di essere rimasti senza padre, per un po’ di tempo rimase in triste silenzio. Poi, quando un piccolo gruppo iniziò, tutti insieme invitano a salutare Romolo come dio nato da un dio, re e padre della città di Roma; con preghiere invocano il suo favore, affinché protegga sempre, benevolo e propizio, la sua progenie.

Testo originale

XVI. His mortalibus editis operibus cum ad exercitum recensendum contionem in campo ad Caprae paludem haberet, subito coorta tempestas cum magno fragore tonitribusque tam denso regem operuit nimbo ut conspectum eius contioni abstulerit; nec deinde in terris Romulus fuit. Romana pubes sedato tandem pauore postquam ex tam turbido die serena et tranquilla lux rediit, ubi uacuam sedem regiam uidit, etsi satis credebat patribus qui proximi steterant sublimem raptum procella, tamen uelut orbitatis metu icta maestum aliquamdiu silentium obtinuit. Deinde a paucis initio facto, deum deo natum, regem parentemque urbis Romanae saluere uniuersi Romulum iubent; pacem precibus exposcunt, uti uolens propitius suam semper sospitet progeniem.

 

 

Prime voci sulla scomparsa

Ab Urbe condita, I, 16

Credo che vi fossero fin d’allora alcuni che, pur senza dirlo apertamente, pensavano che il re fosse stato fatto a pezzi per mano dei senatori; anche questa voce si diffuse, ma in modo assai oscuro; l’ammirazione per Romolo e la presente situazione di incertezza diedero credito all’altra voce. Si dice che fu aggiunta credibilità all’accaduto anche dall’accorgimento di un uomo. Infatti Proculo Iulio, mentre la città era angustiata per la nostalgia del re ed era ostile ai senatori, si fece avanti nell’assemblea come autorevole testimone di un fatto pur straordinario. “Romolo – disse – o Quiriti, padre di questa città, alle prime luci dell’alba di oggi, calatosi giù dal cielo improvvisamente mi si è presentato.

Testo originale

Fuisse credo tum quoque aliquos qui discerptum regem patrum manibus taciti arguerent; manauit enim haec quoque sed perobscura fama; illam alteram admiratio uiri et pauor praesens nobilitauit. Et consilio etiam unius hominis addita rei dicitur fides. Namque Proculus Iulius, sollicita ciuitate desiderio regis et infensa patribus, grauis, ut traditur, quamuis magnae rei auctor in contionem prodit. "Romulus," inquit, "Quirites, parens urbis huius, prima hodierna luce caelo repente delapsus se mihi obuium dedit. 

 

Romolo viene divinizzato

Ab Urbe condita, I, 16

Poiché io, pieno di sacro terrore ed in atto di riverenza, ero rimasto immobile, pregandolo che mi fosse lecito guardarlo in volto, mi disse: “Va’, annuncia ai Romani che i celesti vogliono che la mia Roma sia capitale del mondo; coltivino dunque l’arte militare, sappiano e tramandino ai discendenti che nessuna potenza umana può resistere alle armi dei Romani.” E, dopo aver detto queste parole – disse – se ne andò in cielo”. E’ straordinario quanto credito sia stato dato a quell’uomo che annunciava queste parole e quanto sia stato lenito il rimpianto di Romolo presso la plebe e l’esercito, una volta diffusa la certezza della sua immortalità.

Testo originale 

Cum perfusus horrore uenerabundusque adstitissem petens precibus ut contra intueri fas esset, "Abi, nuntia" inquit "Romanis, caelestes ita uelle ut mea Roma caput orbis terrarum sit; proinde rem militarem colant sciantque et ita posteris tradant nullas opes humanas armis Romanis resistere posse." Haec" inquit "locutus sublimis abiit." Mirum quantum illi uiro nuntianti haec fides fuerit, quamque desiderium Romuli apud plebem exercitumque facta fide immortalitatis lenitum sit.