EURIPIDE

ERACLE

Gli dei   ( vv. 1311-1357 )  

Testo originale

    Th.     Questa sofferenza non ti viene da altri dei se non dalla sposa di Zeus: lo comprendi bene. (…) Ti consiglierei (di resistere nella sventura) piuttosto che lasciarti  abbattere. Nessuno dei mortali è immune dalla sorte, né degli dei, se i discorsi degli aedi non sono falsi. Non intrecciarono forse amori fra di loro per i quali non v’era alcuna legge? Non infamarono con catene i loro padri per poter regnare? Ma ugualmente abitano l’Olimpo ed hanno sopportato il loro essere colpevoli. Eppure cosa dirai, se tu che sei nato mortale sopporti a malincuore i colpi della sorte e gli dei no? Ora dunque abbandona Tebe per rispetto della legge e seguimi verso la città di Pallade. Là, dopo aver purificato le tue mani dalla contaminazione, ti darò delle case ed una parte dei miei beni. E ti darò i doni che ho ricevuto dai cittadini per aver salvato i quattordici giovani ed aver ucciso il toro di Cnosso. Da ogni parte del territorio mi sono stati riservati dei terreni: questi d’ora in avanti saranno chiamati dagli uomini prendendo il nome da te, finchè vivi. E quando sarai morto, quando giungerai all’Ade, tutta la città degli Ateniesi ti eleverà agli onori con sacrifici e tumuli di pietra. Sarà una bella gloria per i cittadini, infatti, ottenere fama da parte dei Greci per aver aiutato un uomo valoroso. Ed io ti ricambierò con questa ricompensa per avermi salvato. Ora, infatti, tu hai bisogno degli amici; quando gli dei ti onorano, non c’è alcun bisogno degli amici, è sufficiente il dio, infatti, se vuole aiutarti.

    Er.     Ohimè: queste cose non hanno rapporto con le mie disgrazie. Io poi non penso che gli dei covino amori illeciti, né che si mettano in catene le mani, non l’ho creduto, né mai lo crederò, né che siano padroni l’uno sull’altro. Infatti non abbisogna il dio, se appunto è veramente un dio, di nulla: queste sono le misere storie dei poeti. Ho riflettuto ed ho deciso che, benchè io viva nelle disgrazie, non mi renderò colpevole di viltà abbandonando la luce (uccidendomi). Chi infatti  non sa resistere alle disgrazie non riuscirebbe a sopportare nemmeno il dardo di un uomo. Mi opporrò alla morte, verrò nella tua città ed accetto con infinita riconoscenza i tuoi doni. Tuttavia ho fatto esperienza di infinite sofferenze, nessuna delle quali ho rifiutato, né ho versato lacrime dagli occhi, né pensavo che sarei mai giunto a questo punto, versare dagli occhi lacrime con sforzo. Ora, invece, come è evidente, bisogna sottomettersi alla sorte.