De amicitia, IX
Amicizia nei confronti dell'Africano
Come infatti ciascuno confida moltissimo in sé e come ciascuno è tanto dotato soprattutto di integrità e saggezza per non aver bisogno di nulla e ritenere che tutti i propri beni siano in sé, così si distingue moltissimo nel cercare e coltivare le amicizie. Qual è, infatti, il problema? Forse l’Africano aveva bisogno di me? Per niente affatto! E neppure io di lui; ma io [ gli fui affezionato ] per una certa ammirazione della sua integrità, lui, a sua volta, mi fu affezionato per quella discreta opinione che forse aveva sul mio modo di vivere; la reciproca frequentazione accrebbe il reciproco affetto. Ma, sebbene si siano ricavati molti grandi vantaggi, le ragioni dell’affetto non hanno avuto origine dalla speranza di riceverli. Come infatti siamo generosi e buoni verso gli altri non per esigere gratitudine, ed infatti non prestiamo ad interesse il favore, ma siamo naturalmente propensi alla generosità, così riteniamo che bisogni conseguire l’amicizia non spinti dalla speranza di essere ricompensati, ma poiché tutto il suo guadagno è proprio nell’affetto.
Testo originale
Vt enim quisque sibi plurimum confidit, et ut quisque maxime uirtute et sapientia sic munitus est ut nullo egeat suaque omnia in se ipso posita iudicet, ita in amicitiis expetendis colendisque maxime excellit. Quid enim? Africanus indigens mei? Minime hercule, ac ne ego quidem illius; sed ego admiratione quadam uirtutis eius, ille uicissim opinione fortasse non nulla, quam de meis moribus habebat, me dilexit; auxit beneuolentiam consuetudo. Sed quamquam utilitates multae et magnae consecutae sunt, non sunt tamen ab earum spe causae diligendi profectae. Vt enim benefici liberalesque sumus, non ut exigamus gratiam (neque enim beneficium feneramur, sed natura propensi ad liberalitatem sumus), sic amicitiam non spe mercedis adducti, sed quod omnis eius fructus in ipso amore inest, expetendam putamus.
De amicitia, XIII
Venga sancita questa prima legge dell’amicizia: che chiediamo agli amici azioni oneste, che facciamo azioni oneste per gli amici, e non aspettiamo neppure che ci vengano chieste; l’attenzione sia sempre presente, stia lontano il temporeggiare; osiamo dare un consiglio in libertà. Abbia grandissimo valore nell'amicizia l'autorevolezza degli amici che consigliano bene e venga utilizzata per fornire un consiglio non solo apertamente, ma anche aspramente, se l’occasione lo richiederà e si presti obbedienza all’autorevolezza ogni volta che venga impiegata [ da un amico ].
Testo originale
XIII. Haec igitur prima lex amicitiae sanciatur, ut ab amicis honesta petamus, amicorum causa honesta faciamus, ne exspectemus quidem dum rogemur, studium semper adsit, cunctatio absit, consilium uerum dare audeamus libere. Plurimum in amicitia amicorum bene suadentium ualeat auctoritas, eaque et adhibeatur ad monendum non modo aperte, sed etiam acriter, si res postulabit, et abhibitae pareatur.
De amicitia, XIX
Amicizia: essere pari a chi ci è inferiore
Ma il fatto più rilevante nell’amicizia è essere pari a chi ci è inferiore. Spesso, infatti, esistono delle personalità eccellenti, come era Scipione nel nostro, per così dire, gregge. Non si mise mai in posizione di superiorità rispetto a Filo, Rupilio o a Mummio, mai rispetto ad amici di classe sociale più bassa; anzi venerava come a sé superiore suo fratello Quinto Massimo, uomo eccellente sotto ogni aspetto, ma non di certo pari a lui, poiché egli lo superava per età e voleva che tutti i suoi amici godere, grazie a lui, di maggior prestigio. E questo operato deve essere messo in pratica ed imitato da tutti: che, se hanno conseguito una certa posizione di rilievo per integrità morale, intelligenza o fortuna, la condividano con i propri amici e la mettano in comune con le persone più care; che, se sono nati da genitori di umili origini, se hanno parenti di livello culturale o di prosperità economica più limitata, accrescano il loro livello di vita e siano per loro motivo d’onore e di dignità. Come nei miti, coloro che vissero a lungo in condizione di schiavitù a causa del fatto che si ignorava la loro stirpe e la loro ascendenza, quando si è scoperto chi fossero e sono stati riconosciuti essere figli di dei o di re mantengono tuttavia un affetto verso i pastori che ritennero essere per molti anni i loro padri. E bisogna compiere questa azione certo molto di più nei confronti di quelli che sono i padri veri e certi: il frutto dell’intelligenza, del valore e di ogni preminenza si colgono al massimo proprio nel momento in cui vengono rivolti verso ciascuna delle persone più vicine.
Testo originale
Sed maximum est in amicitia parem esse inferiori. Saepe enim excellentiae
quaedam sunt, qualis erat Scipionis in nostro, ut ita dicam, grege. Numquam se ille Philo, numquam Rupilio, numquam Mummio anteposuit, numquam
inferioris ordinis amicis; Q. uero Maximum fratrem, egregium uirum omnino, sibi nequaquam parem, quod is anteibat aetate, tamquam superiorem colebat
suosque omnes per se esse ampliores uolebat. Quod faciendum imitandumque est omnibus, ut si quam praestantiam uirtutis ingeni fortunae
consecuti sint, impertiant ea suis communicentque cum proximis, ut si parentibus nati sint humilibus, si propinquos habeant imbecilliore uel
animo uel fortuna, eorum augeant opes iisque honori sint et dignitati; ut in fabulis qui aliquamdiu propter ignorationem stirpis et generis in
famulatu fuerunt, cum cogniti sunt et aut deorum aut regum filii inuenti, retinent tamen caritatem in pastores, quos patres multos anno esse
duxerunt. Quod est multo profecto magis in ueris patribus certisque faciendum. Fructus enim ingeni et uirtutis omnisque praestantiae tum
maxumus capitur, cum in proxumum quemque confertur.
Catilinarie IV, 10
Sono io il salvatore dello stato
Io vedo di essermi attirato una moltitudine di nemici tanto vasta quanto è il gruppo dei congiurati, gruppo che vedete essere molto numeroso. Ma penso che questo gruppo sia infame, debole e spregevole. E, se alcune volte questo gruppo, incoraggiato dalla rabbia o dal delitto di qualcuno, ha avuto maggior valore della dignità vostra e dello Stato, tuttavia non mi pentirò mai delle mie azioni e delle mie decisioni, padri coscritti. Infatti la morte, che essi forse minacciano, è gia stata decisa per tutti; nessuno ha mai raggiunto un così grande elogio per la propria vita come quello di cui voi mi ricolmate con le vostre decisioni; a tutti gli altri, infatti, avete decretato pubblici onori per aver ben guidato lo Stato, a me solo per averlo salvato. Sia pure famoso Scipione, grazie alle decisioni ed al valore del quale Annibale fu costretto a tornare in Africa ed a lasciare l'Italia. Sia pure esaltato l'altro Africano con il più alto elogio, che distrusse due città pericolosissime per questo governo, Cartagine e Numanzia. Venga pure considerato uomo egregio il famoso Paolo, il cui carro trionfale venne arricchito da Perseo, re un tempo molto nobile e potente; sia per sempre glorificato Mario, che liberò l'Italia per due volte dall'assedio e dalla paura della schiavitù; a tutti venga anteposto Pompeo, le imprese ed il valore del quale vengono delimitati da quelle medesime regioni e da quei medesimi confini dai quali è limitato l'arco del sole: ci sarà certamente, fra gli esempi di costoro, un po' di spazio per la nostra gloria, a meno che, per caso, non sia meglio spalancarci province in cui poter espanderci che fare in modo che anche coloro che sono lontani abbiano un luogo in cui tornare vincitori.
Testo originale
Ego, quanta manus est coniuratorum, quam uidetis esse permagnam, tantam
me inimicorum multitudinem suscepisse uideo; sed eam turpem iudico et infirmam et abiectam. Quod si aliquando alicuius furore et
scelere concitata manus ista plus ualuerit quam uestra ac rei publicae dignitas, me tamen meorum factorum atque consiliorum
numquam, patres conscripti, paenitebit. Etenim mors, quam illi fortasse minitantur, omnibus est parata: uitae tantam laudem
quanta uos me uestris decretis honestastis nemo est adsecutus; ceteris enim semper bene gesta, mihi uni conseruata re publica
gratulationem decreuistis. Sit Scipio clarus ille cuius consilio atque uirtute Hannibal in Africam redire atque Italia decedere
coactus est, ornetur alter eximia laude Africanus qui duas urbis huic imperio infestissimas Karthaginem Numantiamque
deleuit, habeatur uir egregius Paulus ille cuius currum rex potentissimus quondam et nobilissimus Perses honestauit, sit aeterna gloria
Marius qui bis Italiam obsidione et metu seruitutis liberauit, anteponatur omnibus Pompeius cuius res gestae atque uirtutes isdem
quibus solis cursus regionibus ac terminis continentur: erit profecto inter horum laudes aliquid loci nostrae
gloriae, nisi forte maius est patefacere nobis prouincias quo exire possimus quam curare ut etiam illi qui absunt habeant quo uictores
reuertantur.
Introduzione
Se io, giudici, ho un po' di talento naturale, e mi accorgo di quanto sia limitato, o una certa esperienza oratoria, nella quale non nego di essere discretamente esperto, od una certa conoscenza di quest'arte, derivata dalle passioni e dallo studio delle migliori discipline, alla quale confesso di non essere stato avverso in alcun momento della mia vita, per suo diritto Aulo Licinio qui presente deve chiedermi il frutto, proprio fra i primi, di tutte queste doti. Infatti, quanto la mia mente può guardare indietro il periodo di tempo trascorso e rievocare il più remoto ricordo della mia giovinezza, tornando indietro fino a quel tempo, mi accorgo che costui è stato per me la persona principale per intraprendere ed iniziare lo studio di queste passioni. E se questa mia parola, plasmata dal consiglio o dagli insegnamenti di costui, talvolta è stata motivo di salvezza per qualcuno, dobbiamo portare aiuto e salvezza, per quanto ci è possibile, proprio a costui, dal quale abbiamo appreso ciò con cui possiamo portare aiuto a tutti e salvare alcuni.
Testo originale
I. Si quid est in me ingeni, iudices, quod sentio quam sit
exiguum, aut si qua exercitatio dicendi, in qua me non infitior mediocriter esse uersatum, aut si huiusce rei ratio aliqua ab
optimarum artium studiis ac disciplina profecta, a qua ego nullum confiteor aetatis meae tempus abhorruisse, earum rerum omnium uel
in primis hic A. Licinius fructum a me repetere prope suo iure debet. Nam quoad longissime potest mens mea respicere spatium
praeteriti temporis et pueritiae memoriam recordari ultimam, inde usque repetens hunc uideo mihi principem et ad suscipiendam et ad
ingrediendam rationem horum studiorum exstitisse. Quod si haec uox huius hortatu praeceptisque conformata non nullis aliquando saluti
fuit, a quo id accepimus quo ceteris opitulari et alios seruare possemus, huic profecto ipsi, quantum is est situm in nobis, et
opem et salutem ferre debemus.