Il rimpianto per Scipione ( De am. III )
Se io negassi di essere commosso dal rimpianto per Scipione, giudichino i saggi quanto a ragione io lo farei; ma indubbiamente mentirei. Sono commosso, infatti, privato di un tale amico, come, come penso, nessuno sarà mai; nessuno, certo, lo è stato, come posso confermare. Ma non ho bisogno di conforto, mi consolo da me, e soprattutto con quella consolazione che non commetto l’errore a causa del quale la maggior parte delle persone è solita essere afflitta dalla morte degli amici. Credo che a Scipione non sia accaduto nulla di male. A me è accaduto, se qualcosa è successo; soffrire intensamente per gli eventi negativi personali non è proprio di chi vuol bene all’amico, ma a se stesso.
Testo originale
III. Ego si Scipionis desiderio me moueri negem, quam id recte faciam
uiderint sapientes; sed certe mentiar. Moueor enim tali amico orbatus, qualis, ut arbitror, nemo umquam erit, ut confirmare possum, nemo certe
fuit. Sed non egeo medicina; me ipse consolor, et maxime illo solacio, quod eo errore careo quo amicorum decessu plerique angi solent. Nihil mali
accidisse Scipioni puto; mihi accidit, si quid accidit; suis autem incommodis grauiter angi, non amicum, sed se ipsum amantis est.
I successi di Scipione ( De am. III )
Chi potrebbe negare che gli andò tutto molto bene? A meno che, infatti, fatto a cui egli non pensava affatto, volesse aspirare all’immortalità, cosa non ha conseguito che fosse lecito ad un uomo aspirare? Lui che subito superò la più alta aspettativa dei cittadini, che avevano avuto su di lui fin da quando era un bambino, quando fu giovane, con incredibile valore; lui che non chiese mai il consolato, venne eletto console due volte, la prima volta prima del tempo, la seconda a tempo debito per lui, quasi tardi per lo Stato; lui che, con la distruzione di due città veramente nemiche di questo governo, eliminò le guerre non solo in corso, ma anche future. Che dire del carattere affabile, del suo amore verso la madre, della sua nobiltà nei confronti delle sorelle, della bontà nei confronti degli amici più stretti, della sua giustizia verso tutti? Vi sono note. Quanto sia stato caro alla città si è visto dal cordoglio del funerale. Quale utilità gli avrebbe mai arrecato un’aggiunta di pochi anni? La vecchiaia, infatti, benchè non sia presente ( come mi ricordo Catone discuteva, l’anno prima di morire, con me e Scipione ) tuttavia priva di quella energia in cui Scipione ancora si trovava.
Testo originale
Cum illo uero quis neget actum esse praeclare? Nisi enim, quod ille minime
putabat, immortalitatem optare uellet, quid non adeptus est, quod homini fas esset
optare? Qui summam spem ciuium, quam de eo iam puero habuerant, continuo adulescens incredibili uirtute superauit; qui consulatum petiuit
numquam, factus consul est bis, primum ante tempus, iterum sibi suo tempore, rei
publicae paene sero; qui duabus urbibus euersis inimicissimis huic imperio non modo praesentia, uerum etiam futura bella deleuit. Quid dicam de
moribus facillimis, de pietate in matrem, liberalitate in sorores, bonitate in
suos, iustitia in omnes? Nota sunt uobis. Quam autem ciuitati carus fuerit, maerore funeris indicatum est. Quid igitur hunc paucorum annorum
accessio iuuare potuisset? Senectus enim, quamuis non sit grauis, ut memini Catonem anno ante, quam est mortuus, mecum et cum Scipione
disserere, tamen aufert eam uiriditatem, in qua etiam nunc erat Scipio.
Non si sarebbe potuto aggiungere altro ( De am. III )
Per questo motivo la sua vita fu tale, per sorte e per gloria, che non si poteva aggiungere altro; la rapidità della morte lo privarono dell’accorgersi di morire; è difficile spendere parole sul modo in cui egli morì. Vedete cosa la gente sospetti. Tuttavia è concesso almeno affermare questo: per Publio Scipione, fra i molti giorni che vide in vita coperti di gloria e felicità, il più felice fu quello in cui, terminate le sedute in Senato, fu condotto a casa verso sera dai padri coscritti, dal popolo romano, dagli alleati e dai Latini, il giorno prima di morire, tanto che sembra che da un così alto grado di dignità sia salito agli dei superni piuttosto che piombato agli inferi.
Testo originale
Quam ob rem uita
quidem talis fuit uel fortuna uel gloria, ut nihil posset accedere; moriendi autem sensum celeritas abstulit. Quo de genere mortis difficile
dictu est; quid homines suspicentur uidetis; hoc uere tamen licet dicere, P. Scipioni ex multis diebus, quos in uita celeberrimos laetissimosque
uiderit, illum diem clarissimum fuisse, cum senatu dimisso domum reductus ad uesperum est a patribus conscriptis, populo Romano, sociis et
Latinis, pridie quam excessit e uita, ut ex tam alto dignitatis gradu ad superos
uideatur deos potius quam ad inferos peruenisse.
L'unico parere che posso dare ( De am. V )
Io certamente non avrei difficoltà se avessi fiducia in me stesso; infatti il problema è davvero nobile e, come ha detto Fannio, siamo liberi da impegno. Ma chi sono io? O che capacità ho io? Questa è una consuetudine dei filosofi, e greci per giunta, di sottoporre loro un argomento di cui debbano parlare all’improvviso, quanto tu voglia; è un compito importante e richiede un esercizio non piccolo. Per questo motivo, penso che dobbiate chiedere ciò che si può discutere a proposito dell’amicizia a coloro che fanno per professione queste cose; io vi posso solo esortare ad anteporre l’amicizia a tutti i beni umani; niente infatti è così adatto alla natura ( umana ) e così opportuno per i momenti brutti come per quelli belli.
Testo originale
V.
LAELIVS. Ego uero non grauarer, si mihi ipse confiderem: nam et
praeclara res est et sumus, ut dixit Fannius, otiosi. Sed quis ego sum? aut quae est in me facultas? Doctorum est ista consuetudo, eaque
Graecorum, ut iis ponatur de quo disputent quamuis subito; magnum opus est egetque
exercitatione non parua. Quam ob rem quae disputari de amicitia possunt, ab iis censeo petatis, qui ista profitentur; ego uos hortari tantum
possum, ut amicitiam omnibus rebus humanis anteponatis; nihil est enim tam naturae
aptum, tam conueniens ad res uel secundas uel aduersas.
L'amicizia esiste solo tra persone oneste ( De am. V )
Ma la mia prima opinione è che l’amicizia non possa esistere se non fra persone oneste. E non voglio tagliare fino alla carne viva, come coloro che trattano questi argomenti con eccessiva sottigliezza, forse con verità, ma poco per l’utilità di tutti: affermano infatti che nessuno, tranne il saggio, è una persona onesta.
Testo originale
Sed hoc primum sentio, nisi in bonis amicitiam esse non posse. Neque id ad
uiuum reseco, ut illi qui haec subtilius disserunt, fortasse uere, sed ad communem utilitatem parum; negant enim quemquam esse uirum bonum nisi
sapientem.