Apuleio 

 

Metamorfosi IV, 2

Una falsa speranza

Allora, mentre ondeggiavo in questo mare di pensieri, poco più distante vedo una piccola valle ombrosa di un bosco ombroso, tra le cui varie erbette e fiorenti verzure splendeva il colore rosso scarlatto di rose fiorenti. E già nel mio animo non del tutto ferino pensavo che fosse un bosco sacro di Venere e delle Grazie, nei cui recessi opachi riluceva lo splendore regale di quel fiore delizioso. Allora, invocato per me il Successo lieto e prospero, mi lancio in corsa rapida, così che - per Ercole - non mi sentii asino, anzi cavallo da corsa spinto a velocità sfrenata. Ma quel tentativo agile e magnifico non poté superare il corso sinistro della mia sorte. Ormai infatti vicino al luogo non vidi quelle rose tenere e belle, madide di rugiada divina e di nettare, che generano rovi felici e spine beate, e neppure una piccola valle, bensì soltanto il margine di una riva fluviale cinto di alberi fitti. Questi alberi, molto frondosi come un alloro, generano piccoli calici allungati con odore di fiori e moderatamente rosseggianti, che il volgo non istruito chiama, non avendo in realtà alcun odore, con termine agreste rose d'alloro: cibarsene è mortale per tutto il bestiame.

 

Testo originale

II. Ergo igitur cum in isto cogitationis salo fluctuarem aliquanto longius frondosi nemoris conuallem umbrosam, cuius inter uarias herbulas et laetissima uirecta fungentium rosarum mineus color renidebat. Iamque apud mea usquequaque ferina praecordia Veneris et Gratiarum lucum illum arbitrabar, cuius inter opaca secreta floris genialis regius nitor relucebat. Tunc inuocato hilaro atque prospero Euento cursu me concito proripio, ut hercule ipse sentirem non asinum me uerum etiam equum currulem nimio uelocitatis effectum. Sed agilis atque praeclarus ille conatus fortunae meae scaeuitatem anteire non potuit. Iam enim loco proximus non illas rosas teneras et amoenas, madidas diuini roris et nectaris, quas rubi felices beatae spinae generant, ac ne conuallem quidem usquam nisi tantum ripae fluuialis marginem densis arboribus septam uideo. Hae harbores in lauri faciem prolixe foliatae pariunt in odor modum floris [inodori] porrectos caliculos modice punicantes, quos equidem flagrantis minime rurestri uocabulo uulgus indoctum rosas laureas appellant quarumque cuncto pecori cibus letalis est.

 

Metamorfosi IV, 6

Il rifugio dei briganti

L'argomento e l'occasione stessa rendono necessario esporre una descrizione dei luoghi e di quella grotta che i briganti abitavano. Infatti metterò alla prova il mio ingegno ed al tempo stesso farò in modo che voi vi accorgiate perfettamente se fossi asino anche d'animo e di mente. C'era un monte impervio ed ombroso per le fronde delle foreste e particolarmente alto. Lungo i suoi ripidi pendii, dove è cinto da rocce davvero aspre e perciò inaccessibili, scorrevano valli piene di buche e grotte, di frequente ricoperte da roveti e poste in ogni direzione offrendo una protezione naturale. Dalla sommità scaturiva una fonte che scorreva con molte bolle e placida riversava per il pendio onde argentine e già dispersa in più rivoli e, irrigando con una fila di stagni quelle valli come una laguna od un pigro fiume, circondava ogni cosa. Un torrione impervio, dove convergono i margini della montagna, sovrasta la spelonca; recinti solidi per graticci robusti, adatti ad uno stazzo di pecore, con lati prolungati da entrambe le parti si estendono davanti all'ingresso come uno stretto passaggio di un muro edificato. Sulla mia parola li avresti potuti definire gli atri dei briganti. E vicino non c'era altro che una piccola capanna ricoperta alla bell'e meglio con canne, dove le sentinelle estratte a sorte tra la schiera dei briganti montavano la guardia durante le notti, come in seguito venni a sapere. 

 

Testo originale

VI. Res ac tempus ipsum locorum speluncaeque quam illi latrones inhabitabant descriptionem exponere flagitat. Nam et meum simul periclitabor ingenium, et faxo uos quoque an mente etiam sensuque fuerim asinus sedulo sentiatis. Mons horridus siluestribusque frondibus umbrosus et in primis altus fuit. Huius per obliqua deuexa, qua saxis asperrimis et ob id inaccessis cingitur, conualles lacunosae cauaeque nimium spinetis aggeratae et quaqua uersus repositae naturalem tutelam praebentes ambiebant. De summo uertice fons affluens bullis ingentibus scaturribat perque prona delapsus euomebat undas argenteas iamque riuulis pluribus dispersus ac ualles illas agminibus stagnantibus inrigans in mondum stipati maris uel ignaui fluminis cuncta cohibebat. Insurgit speluncae, qua margines montanae desinunt, turris ardua; caulae firmae solidis cratibus, ouili stabulationi commodae, porrectis undique lateribus ante fores exigui tramitis uice structis parietis attenduntur. Ea tu bono certe meo periculo latronum dixeris atria. Nec iuxta quicquam quam parua casula cannulis temere contecta, qua speculatores e numero latronum, ut postea comperi, sorte ducti noctibus excubabant.

 

Metamorfosi VII, 17

Lucio costretto a portare la legna ( 1 )

Ma la sorte insaziabile dai miei tormenti mi preparò di nuovo un'altra sventura. Infatti mi viene assegnato il compito di trasportare la legna giù dal monte e mi è imposto come guardiano un giovane, di gran lunga il peggiore. E non solo mi affaticava l'aspra vetta dell'altissimo monte, né solo consumavo gli zoccoli urtando contro punte rocciose, ma venivo ampiamente piallato con duri colpi di bastone, tanto che il dolore delle ferite mi penetrava sino al midollo dal momento che ero picchiato ininterrottamente. E dando sempre colpi alla gamba destra e ferendo un solo luogo, pur avendo consumato la pelle ed avendo aperto il buco di una piaga vastissima, o per meglio dire una fossa o meglio una finestra, tuttavia non cessava di picchiare in continuazione la ferita bagnata di sangue. Ma mi caricava di un così gran peso di legna che tu avresti pensato che la mole di fascine fosse stata approntata per un elefante e non per un asino. Invece egli, per giunta, ogni volta che il carico si era piegato inclinandosi dall'altro lato, mentre avrebbe piuttosto dovuto togliere dei rami dal carico che si stava rovesciando e prendersi cura di me dopo aver un po' alleggerito il peso, o certamente ristabilire l'equilibrio spostando ( la legna ), al contrario rimediava alla diseguaglianza di peso aggiungendovi sopra delle pietre.

Testo originale

XVII. At eundem modum distractus et ipse uariis equorum incursibus rursum molares illos circuitus requirebam. Verum Fortuna meis cruciatibus insatiabilis aliam mihi denuo pestem instruxit. Delegator enim ligno monte deuehundo, perque mihi praefectus imponitur omnium unus ille quidem puer deterrimus. Nec me montis excelsi tantum arduum fatigabat iugum, nec saxeas tantum sudes incursando contribam ungulas, uerum fustium quoque crebris ictibus prolixe dedolabar, ut usque plagarum mihi medullaris insideret dolor; coxaeque dexterae semper ictus incutiens et unum feriendo locum dissipato corio et ulceris latissimi facto foramine, immo fouera uel etiam fenestra nullus tamen desinebat identidem uulnus sanguine delibitum obstundere. Lignorum uero tanto me premebat pondere, ut fascium molem elephanto, non asino paratam putares. Ille uero etiam quotiens in alterum latus praeponderans declinarat sarcina, cum deberet potius grauantis ruinae fustes demere et leuata paulisper pressura sanare me uel certe in alterum translatis peraequare, contra lapidibus additis insuper sic iniquitanti ponderis medebatur.

 

Metamorfosi VII, 18

Lucio costretto a portare la legna ( 2 )

E non contento dopo così tante mie sventure, del peso indicibile del carico, mentre attraversavamo il fiume, che si trovava a scorrere presso la via, preoccupandosi di ( tenere distanti ) i suoi stivali dall'acqua, anche lui mi stava seduto sopra, saltando su sopra la mia schiena, naturalmente trascurabile aggiunta ad un carico così gravoso. E se per qualche motivo, perché il limo melmoso rendeva sdrucciolevoli gli argini della riva, fossi stramazzato per esser scivolato nell'incapacità di sostenere il peso, mentre un eccellente asinaio dovrebbe allungare la mano, tirarmi per la cavezza, sollevarmi per la coda e certamente togliere una parte di un così gran carico, almeno fino a che mi fossi rialzato, egli non prestava neanche un po' di aiuto a me stanco, anzi iniziando dalla testa, o persino proprio dalle orecchie, mi bastonava tutto con un legno enorme, finché davvero le ferite mi facessero rialzare come rimedio. Egli escogitò personalmente tale tortura per me. Attaccò alla mia coda, come un tormento appeso, spine acutissime e tremende per la puntura velenosa, legate nel mezzo con un chiodo ritorto, affinché mi ferissero, spinte ed agitate dal mio avanzare, con aculei tremendi.

Testo originale

XVIII. Nec tamen post tantas meas clades inmodoco sarcinae pondere contentus, cum fluuium transcenderemus, qui forte praeter uiam defluebat, peronibus suis ab aquae modore consulens ipse quoque insuper lumbos meos insiliens residebat, exiguum scilicet et illud tantae molis superpondium. Ac si quo casu limo caenoso ripae supercilia lubricante oneris inpatentia prolapsus deruissem, cum deberet egregius agaso manum porrigere, capistro suspendere, cauda subleuare, certe partem tanti oneris, quoad resurgerem saltem, detrahere, nullum quidem defesso mihi ferebat auxilium, sed occipiens a capire, immo uero et ipsis auribus totum me complicabat ( cidit ) fusti grandissimo, donec fomenti uice ipsae me plagae suscitarent. Idem mihi talem etiam excogitauit perniciem. Spinas acerrumas et punctu uenerato uiriosas in fascem tortili nodo costrictas caudae meae pensilem deligauit cruciatum, ut incessu meo commotae incitataeque funestis aculeis infeste me conuulnerarent.