Il culto della dea Vesta, presente nella mitologia greca col nome di Estia, la divinità del focolare domestico, dea della casa e della patria, fu introdotto in Italia, secondo la leggenda, da Enea, che l’avrebbe instaurato a Lavinio, da dove poi Numa Pompilio l’avrebbe trasferito a Roma. Vesta è però generalmente ritenuta una divinità italica di origine locale. Il suo culto consisteva principalmente nel mantenere acceso il fuoco sacro alla dea, il quale aveva un carattere simbolico.
Nel suo tempio, secondo gli storici romani, non c’era alcuna sua statua, né immagini che la raffigurassero. A partire però del I secolo a.C. si ritrovano alcune sue raffigurazioni, che la dipingono con una fiaccola accesa in una mano, o mentre sorregge un bambino. E’ allora identificata con la Vergine Madre che i Romani ritenevano essere loro protettrice particolare, la cui potenza sarebbe durata quanto il sole.
Vestali si chiamavano le sue sacerdotesse, che dovevano perennemente tenere acceso il fuoco sacro. Numa ne istituì quattro, poi Tarquinio Prisco ne portò il numero a sei. Nei primi tempi venivano elette dai re, poi dal Pontefice massimo tra le bambine di famiglie che non avevano commesso peccati. Tra i sei ed i dieci anni entravano nel collegio sacerdotale addetto al tempio della dea, e vi dovevano rimanere per trent’anni.
Facevano solenne voto di castità e di non lasciare mai senza fuoco il sacro focolare, che era il simbolo della potenza romana. Per dieci anni servivano come novizie, per altri dieci come ministre del culto e per gli ultimi dieci come maestre delle novizie.
Custodivano inoltre dei simboli misteriosi all’interno della Casa delle Vestali, forse i Penati ed il Palladio. Le Vestali godevano di numerosi privilegi, fra i quali il non dover sottostare alla patria potestas. Occupavano posti distinti nelle cerimonie pubbliche e nelle riunioni solenni; potevano salvare dalla pena di morte i condannati che avessero incontrato mentre venivano condotti al supplizio; la vestale colpevole dell’estinzione del fuoco sacro veniva frustata dal Pontifex maximus – che aveva un rapporto di tipo maritale con le vestali -, oppure, se violava il voto di castità, veniva sepolta viva. Compiuto il trentesimo anno di sacerdozio, potevano ritornare alle proprie famiglie e sposarsi. Il loro collegio era presieduto dalla virgo vestalis candida.
Indossavano una lunga veste bianca con una piccola tunica di lino (carbasus). Durante le cerimonie aggiungevano un lenzuolo di panno bianco (amictus), orlato tutto intorno; i capelli venivano tenuti stretti sul capo da una benda di lana bianca (infula) legata con un nastro (vitta).
Le Vestalia, le feste di Vesta, erano celebrate il 9 giugno. Si pregava la dea perché concedesse alla famiglia abbondanza di pane. Si conducevano per la città degli asini, gli animali a lei sacri, adorni di ghirlande e collane di pane. Si ornavano in questo modo anche i mulini, che per quel giorno rimanevano chiusi. Numerose matrone andavano scalze al tempio della dea per portarle doni votivi.
Nel foro romano erano collocati il Tempio del Focolare, di forma circolare che ricordava quella della capanna italica, e la Casa delle vestali, sicuramente uno dei più antichi edifici romani di cui ci sia rimasta traccia.
Le vestali potevano raccogliere l’acqua ad una fonte ben precisa, per non correre il rischio di commettere peccato.