Un esempio tratto da una scena al mercato

    Rimane tuttavia prioritario sottolineare che l'episodio della Cena, che pure tocca i vertici, come detto, del realismo antico, è concepito (come l'intera opera di Petronio) in chiave comica: i personaggi che animano la tavola di Trimalcione sono infatti relegati, proprio attraverso il linguaggio che utilizzano ed il modo di atteggiarsi, ad un ruolo stilistico "basso". Non si tratta, insomma, di personaggi rappresentativi di un preciso problema sociale che potesse impensierire i lettori, ma quasi di "buffoni" concepiti per allietare gli spiriti nobili e raffinati di corte, che guardavano con sdegno (come del resto lo stesso autore dell'opera) l'ascesa di questi parvenu di provincia, pieni di soldi ma assolutamente privi di "nobiltà". Si tratta di una sorta di regola implicita nella letteratura antica, che già possiamo ravvisare nel prototipo omerico di Margite: il quotidiano non ammette una rappresentazione seria, impegnata e problematica, ma deve al contrario essere raffigurato in chiave comica. In questo senso, come è facile comprendere, il realismo di Petronio ha in realtà profondissimi limiti interni che impediscono di dare al termine "realismo" stesso l'accezione moderna del termine.

    Occorre inoltre aggiungere che Petronio non inquadra affatto le vicende dei suoi personaggi in un contesto di mutamenti sociali ed economici, anzi - proprio perchè l'unica chiave di lettura del quotidiano è quella comica e non problematica - l'individuo che in qualche modo decide di isolarsi dagli altri appare piuttosto "avere torto" nei confronti della società intesa come ente immutabile sempre presente sullo sfondo degli avvenimenti che riguardano i singoli personaggi (Auerbach). Così le fortune dei commensali appaiono e si volatilizzano senza apparente ragione e senza che sia chiaro il preciso contesto storico in cui tali personaggi si muovono ed agiscono, ovvero gli anni della prima età imperiale. Seguiamo ad esempio la seguente conversazione, in cui due personaggi discutono di prezzi (Sat. 44 e 45)

XLIV. Haec Phileros dixit, illa Ganymedes: "Narrat is quod nec ad terram pertinet, cum interim nemo curat, quid annona mordet. Non mehercules hodie buccam panis inuenire potui. Et quomodo siccitas perseuerat! Iam annum esuritio fuit. Aediles male eueniat, qui cum pistoribus colludunt: "Serua me, seruabo te". Itaque populus minutus laborat; nam isti maiores maxillae semper Saturnalia agunt. O si haberemus illos leones, quos ego hic inueni, cum primum ex Asia ueni. Illud erat uiuere. +Similia sicilia interiores et laruas sic istos percolopabant, ut illis Iuppiter iratus esset. [...] Itaque illo tempore annona pro luto erat. Asse panem quem emisses, non potuisses cum altero deuorare. Nunc oculum bublum uidi maiorem. Heu heu, quotidie peius! Haec colonia retrouersus crescit tanquam coda uituli. Sed quare nos habemus aedilem trium cauniarum, qui sibi mauult assem quam uitam nostram? Itaque domi gaudet, plus in die nummorum accipit quam alter patrimonium habet. Iam scio unde acceperit denarios mille aureos. Sed si nos coleos haberemus, non tantum sibi placeret. Nunc populus est domi leones, foras uulpes. Quod ad me attinet, iam pannos meos comedi, et si perseuerat haec annona, casulas meas uendam. Quid enim futurum est, si nec dii nec homines eius coloniae miserentur? Ita meos fruniscar, ut ego puto omnia illa a diibus fieri. Nemo enim caelum caelum putat, nemo ieiunium seruat, nemo Iouem pili facit, sed omnes opertis oculis bona sua computant. [...] Itaque dii pedes lanatos habent, quia nos religiosi non sumus. Agri iacent ..." - XLV. "Oro te, inquit Echion centonarius, melius loquere. "Modo sic, modo sic" inquit rusticus: uarium porcum perdiderat. Quod hodie non est, cras erit: sic uita truditur. [...] Sed laborat hoc tempore, nec haec sola. Non debemus delicati esse; ubique medius caelus est. Tu si aliubi fueris, dices hic porcos coctos ambulare. Et ecce habituri sumus munus excellente in triduo die festa; familia non lanisticia, sed plurimi liberti [...]. 

44 Dopo Filerote, interviene Ganimede: «Questa è roba che non sta né in cielo né in terra, e intanto nessuno pensa ai morsi della carestia. Oggi, maledizione, non sono riuscito a trovare un pezzetto di pane. E la siccità non la smette mica! E intanto è da un anno che facciamo la fame. Schiattassero una buona volta gli edili, che hanno tutti i loro accordi segreti con i  fornai: "Aiuta me che aiuto te" dicono, mentre la povera gente tira la cinghia e per quelle canaglie è sempre carnevale. Ah, se ci fossero ancora quegli uomini di carattere che ho trovato qui la prima volta che sono arrivato dall'Asia! Quello sì che era vivere. Se il grano della Sicilia non valeva un fico secco, a queste carogne quelli là gliene davano un sacco e una sporta, che sembrava venisse giù il cielo. [...] Così a quei tempi la roba costava una miseria. Comprando un soldo di pane, non si riusciva mica a finirlo in due. Adesso ti danno dei panini che un occhio di bue è più grosso! Poveri noi, ogni giorno che passa è sempre peggio. Questo paese cresce in senso contrario, come la coda di un vitello. Ma come volete che vada se abbiamo un edile che non vale un bel niente, e che darebbe la nostra vita in cambio di una lira? A casa sua se la passa alla grande, e guadagna più lui in un giorno che il resto della gente in tutta la vita. Io lo so benissimo come ha fatto ad arraffare mille denari d'oro. Se solo noi avessimo il coraggio, quello lì non se la spasserebbe tanto. Il fatto è che a casa siamo tutti leoni, mentre fuori diventiamo pecore. Per quel che mi riguarda, ho già venduto gli stracci che avevo e, se continua la carestia, finisce che mi tocca vendere anche la baracca. Come volete che vada a finire, se gli dei e gli uomini continuano a fregarsene di questo paese? Mi scommetterei i figli che tutto questo ce lo mandano gli dei. Nessuno più crede che il cielo sia il cielo, nessuno più rispetta il digiuno, tutti se ne infischiano del padreterno, e sanno solo sgranare gli occhi per contare la roba che hanno. [...] Oggi invece gli dei sono infuriati perché non c'è più religione. E intanto i campi se ne vanno in malora...». 45 «Ma per piacere» lo interrompe Echione, il rigattiere, «non hai niente di più allegro da raccontarci? "Un po' su e un po' giù", disse il contadino, dopo aver perso il maiale pezzato. Quello che non è oggi, sarà domani. Così va la vita. [...] Ma adesso è piena crisi, e mica solo qui da noi. Non dobbiamo fare tanto i difficili: tutto il mondo è paese. Se tu abitassi da un'altra parte, diresti che qui dalle nostre parti i maiali vanno in giro per le strade già belli e cotti. E poi abbiamo la prospettiva di goderci tre giorni di magnifico spettacolo: al posto dei gladiatori di professione un bel grappolo di liberti».

    E' assente - come si può evincere dal testo - un qualunque cenno ad una relazione problematica e consapevole tra gli avvenimenti descritti ed il loro corretto sfondo storico - questo consegue direttamente dalla scelta obbligata di descrivere quanto attiene la sfera del quotidiano (come questa scena in particolare) esclusivamente in chiave comica: Auerbach a tale proposito sottolinea il fatto che in tal modo il mondo di Petronio, nel suo pur esteriore realismo, è fermo. I personaggi si muovono su uno sfondo immutabile, che si pensa essere sempre esistito e destinato a ripetersi sempre identico. In definitiva, il senso dello scorrere del tempo e dell'evolversi della storia attraverso il concatenarsi delle cause e degli effetti si può dire non tocchi minimamente nè Petronio nè i suoi lettori antichi. 

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