A distanziare ulteriormente lo stile narrativo di Omero da quello dell'autore del Satyricon è poi il senso della storicità e del fluire del tempo, specie per sottolineare come le condizioni attuali di un personaggio differiscano (in meglio o in peggio) da quelle passate. E' frequentissimo in Omero il ricorso a notizie sulle origini di un certo duellante (si pensi ad esempio al celebre episodio del duello tra Glauco e Diomede, in Il. VI, 144-202). Tuttavia ad Omero non interessa l'evoluzione dei suoi personaggi, anzi la storia passata è presentata esclusivamente per dare punti di riferimento al lettore e chiarire quale sia la stirpe di origine delle persone descritte, inquadrandole in un ben preciso (ed immutabile) schema sociale di nobili discendenze e legami di parentela.
Viceversa, in Petronio diviene assolutamente preponderante l'idea della trasformazione, del mutamento di fortuna: il mondo è in moto perpetuo e la ricchezza è quanto di più instabile esista, sia in bene - Modo solebat collo suo ligna portare. Sed quomodo dicunt - ego nihil scio, sed audiui - quom Incuboni pilleum rapuisset, et thesaurum inuenit - che in male - Libitinarius fuit. Solebat sic cenare, quomodo rex: apros gausapatos, opera pistoria, auis, cocos, pistores. Plus uini sub mensa effundebatur, quam aliquis in cella habet. Phantasia, non homo. Inclinatis quoque rebus suis, cum timeret ne creditores illum conturbare existimarent, hoc titulo auctionem proscripsit: "C. Iulius Proculus auctionem faciet rerum superuacuarum. Valga per tutti la storia di Fortunata, cresciuta dal nulla: Vxor, inquit, Trimalchionis, Fortunata appellatur, quae nummos modio metitur. Et modo, modo quid fuit? Ignoscet mihi genius tuus, noluisses de manu illius panem accipere. Nunc, nec quid nec quare, in caelum abiit et Trimalchionis topanta est.
L'idea della fortuna mutevole non è sicuramente un'invenzione di Petronio ed è anzi caratteristica di tragedia e commedia oltre che di gran parte della letteratura di stampo filosofico o moralistico: tuttavia è opportuno notare che in tali contesti il mutamento improvviso del corso delle vicende umane è di solito l'imprevedibile risultato di qualche oscuro volere divino che con queste ultime è venuto ad interferire. Sarà sufficiente citare ad esempio la vicenda di Creso e Solone in Erodoto I, 32, dove si afferma che occorre aspettare la fine della vita di un uomo prima di giudicarlo felice, perchè spesso il dio, invidioso, ne ha rovesciato l'esistenza "fin dalle radici", o ancora l'Ippolito di Euripide (1462-66): "Inatteso giunge questo dolore ... Vi sarà suono di pianti e scorreranno molte lacrime. Le storie luttuose dei grandi commuovono maggiormente"; oppure il Coro dell'Edipo re (1524 e seguenti): "Cittadini di Tebe, osservate: questi è Edipo [...] fu l'uomo più potente ed ora è precipitato in un gorgo di sventure. Non bisogna perciò giudicare felice nessuno dei mortali prima che sia giunto al termine della vita senza aver patito il dolore". In ogni caso, l'intervento divino od in genere il fenomeno che ha dato avvio al mutamento di condizione di qualche personaggio (anche in positivo, come accade ad esempio nelle commedie di Aristofane, dove il protagonista si può ritrovare a possedere qualche dote straordinaria ed iperbolica) irrompe usualmente dall'esterno, mentre gli attori della vicenda non possono che prenderne atto, impotenti.
In Petronio, al contrario, benchè il fatto di "metter su qualche bel milioncino" sia ancora vissuto come qualcosa di magico - Sed quomodo dicunt - ego nihil scio, sed audiui - quom Incuboni pilleum rapuisset, et thesaurum inuenit, strappare il berretto ad un Incubo -, il mutare della fortuna sembra vissuto come fatto estremamente terreno. A questo proposito potremmo citare la descrizione che lo stesso Trimalcione dà del modo in cui è riuscito ad accumulare le sue incredibili ricchezze, partendo dal nulla (Sat. 76):
Nemini tamen nihil satis est. Concupiui negotiari. Ne multis uos morer, quinque naues aedificaui, oneraui uinum - et tunc erat contra aurum - misi Romam. Putares me hoc iussisse: omnes naues naufragarunt. Factum, non fabula. Vno die Nepturnus trecenties sestertium deuorauit. Putatis me defecisse? Non mehercules mi haec iactura gusti fuit, tanquam nihil facti. Altera feci maiores et meliores et feliciores, ut nemo non me uirum fortem diceret. Scis, magna nauis magnam fortitudinem habet. Oneraui rursus uinum, lardum, fabam, seplasium, mancipia. Hoc loco Fortunata rem piam fecit: omne enim aurum suum, omnia uestimenta uendidit et mi centum aureos in manu posuit. Hoc fuit peculii mei fermentum. Cito fit quod di uolunt. Vno cursu centies sestertium corrotundaui. Statim redemi fundos omnes, qui patroni mei fuerant. Aedifico domum, uenalicia coemo, iumenta; quicquid tangebam, crescebat tanquam fauus. Postquam coepi plus habere quam tota patria mea habet, manum de tabula: sustuli me de negotiatione et coepi libertos fenerare.
76 Nulla tuttavia è mai sufficiente per nessuno. Mi venne voglia di mettermi nel commercio. Per non farvela troppo lunga, feci costruire cinque navi, le riempii di vino – e allora si pagava a peso d’oro – e le spedii a Roma. Potresti pensare che l’avessi ordinato io: tutte le navi naufragarono; ed è la realtà, non è una storia. In un solo giorno Nettuno si era divorato 30 milioni di sesterzi. Pensate che mi sia arreso? Per Ercole, questi fatti non mi toccarono nemmeno, come se non fosse successo nulla. Ne costruii delle altre, più grandi, più robuste e più belle, perché nessuno dicesse che io non sono un uomo coraggioso. Sai, una grande nave ha una grande robustezza. Le riempii di nuovo di vino, lardo, fave, profumi e schiavi. A questo punto Fortunata fece un bel gesto: vendette infatti tutti i suoi ori ed i suoi vestiti e mise nelle mie mani 100 monete d’oro. Questo fu lievito per il mio patrimonio. Si fa presto quello che gli dei vogliono. Con un solo viaggio mi tirai su 100 milioni di sesterzi. Subito mi sono ricomprato tutti i terreni che erano appartenuti al mio padrone. Mi costruisco una casa, compro mercati di schiavi e giumenti; tutto quello che toccavo cresceva come un favo di miele. Quando presi a possedere io più di quanto tutta la mia patria messa insieme possiede, passai la mano: mi ritirai dal commercio ed iniziai a fare prestiti ai liberti.