Il senso dell’intervento divino

 

    L’intervento divino nelle Storie è quasi sempre mirato alla punizione e molto raramente all’aiuto nei confronti di uomini in difficoltà: la maggior parte delle volte, la divinità si mostra estremamente esigente nei confronti dei mortali, tanto da pretendere che paghi per la propria colpa anche chi si è limitato a concepire un delitto, senza mai realizzarlo nei fatti. A questo proposito, molti sono gli episodi delle Storie che si possono citare. Ad esempio, lo spartano Glauco interrogò la Pizia per sapere se potesse metter le mani sul denaro di un uomo che si trovava come ospite presso la sua casa: la sacerdotessa lo redarguì e gli prefigurò l’annientamento di tutta la sua famiglia. Allora Glauco, atterrito dal responso, volle chiedere perdono alla divinità per la sua precedente richiesta. La Pizia, per tutta risposta, vaticinò che il suo tentativo di mettere alla prova la divinità coincideva con l’aver commesso un’azione malvagia:

Così, la famiglia di Glauco finì estirpata “fin dalle radici” (VI, 86).

Più complessa la vicenda della consegna di un prigioniero da parte degli abitanti di Cuma: i cittadini di questa città avevano interrogato l’oracolo di Apollo a Dirime per sapere cosa fare di un lidio che, ricercato dai Persiani, aveva finito per trovar rifugio presso di loro. L’oracolo aveva affermato perentoriamente di consegnarlo ai Persiani. Tuttavia, poiché un cittadino di Cuma era perplesso sulla bontà del responso, l’oracolo venne interrogato nuovamente. La nuova risposta fu per certi versi sconcertante. La divinità ribadì infatti il suo ordine e spiegò che quest’ultimo aveva il preciso scopo di far commettere un atto di empietà ai cittadini di Cuma, per accelerarne la disgrazia e fare in modo che essi non venissero più ad interrogare l’oracolo a proposito di siffatte questioni (I, 159). Perplessi e confusi dal responso, gli abitanti di Cuma lasciarono fuggire il lidio. Il racconto manca del finale e non sappiamo se infine la città venne punita o risparmiata dalla divinità.

Anche il celebre episodio del duplice sogno di Serse può essere interpretato in questo contesto: il Gran Re convoca il suo consiglio, ma in realtà ha già ben in mente il suo piano d’attacco alla Grecia (VII, 8-18). Solo Artabano, saggio consigliere e suo stretto parente, ha il coraggio di parlare chiaramente, lontano da ogni piaggeria, e di affermare contro l’opinione di tutti che la spedizione contro la Grecia ed il ponte di barche sull’Ellesponto sono un intollerabile atto di superbia da parte di un mortale: a suo avviso, la punizione degli dei sarà inevitabile e la guerra si concluderà con un disastro immane. Il fedele Artabano esorta Serse a desistere, come abbiamo ricordato in precedenza, proprio facendo appello al concetto di jqonos da parte della divinità e ricordando al sovrano quali siano i limiti invalicabili cui un mortale – per quanto sia grande il suo potere – debba sottostare. Tuttavia Serse ha già formulato la propria decisione e solo più tardi il dubbio lo assale, dopo una visione apparsagli nel sonno. A questo punto – secondo lo schema già osservato nell’episodio di Glauco – tutto è già compiuto e la divinità, attraverso l’espediente di un sogno, non fa altro che spingere Serse più a fondo nel suo proposito colmo di ubris, con l’intento di punire il sovrano per i suoi pensieri sfrontati. Riportiamo una parte del lungo episodio.

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