La diffusione del Cristianesimo :in verde sono evidenziate le regioni ad alta presenza di Cristiani,
in giallo quelle a scarsa (minoranze rilevanti) presenza di Cristiani
Per quanto riguarda le forme della prima letteratura cristiana, escludendo i Vangeli, quella più usata fu l’Epistola, ereditata direttamente dal modello dei filosofi greci ; evolvendosi poi ulteriormente, vennero impiegate anche altre forme, come la Didachè, l’Apocalisse ed il Sermone : quest’ultimo riprendeva la diatriba e la discussione propria della filosofia popolare greca dei precetti cinici, degli Stoici e degli Epicurei.
Nel Cristianesimo primitivo insorse, dunque, spontaneamente un’esigenza di missione che spinse i predicatori e gli apostoli ad usare i generi letterari propri della lingua greca, poiché si dovevano rivolgere per primi proprio ai Giudei ellenizzati che incontravano in tutte le grandi città del Mediterraneo.
La stessa forma protrettica assunta dalla predicazione cristiana era una caratteristica già propria della filosofia greca dell’età ellenistica : le diverse scuole cercavano di trovare seguaci mediante allocuzioni durante le quali raccomandavano il proprio dogma come unico mezzo per raggiungere la felicità. Persino la parola “conversione” (meta@noia) deriva da Platone, perché accettare una filosofia significa in primo luogo cambiare vita.
L’insegnamento cristiano parlava, come la maggior parte delle filosofie greche dell’età ellenistica, dell’ignoranza dell’uomo e prometteva una conoscenza migliore, garantita attraverso un maestro che possedeva e rivelava agli altri la verità : il parallelismo fra filosofi greci e missionari cristiani fu ampiamente sfruttato e finì per avvantaggiare i secondi.
Il dio dei filosofi era molto differente dalle divinità dell’Olimpo pagano tradizionale ed i sistemi filosofici dell’età ellenistica, ben lungi da essere una roccaforte del formalismo religioso, costituirono piuttosto una sorta di rifugio spirituale per i loro seguaci : i missionari cristiani ricalcarono direttamente le loro orme e giunsero talora a prenderne in prestito gli argomenti, soprattutto quando si rivolgevano ad un pubblico greco colto. Da questo incontro e da questo assorbimento dipese largamente l’avvenire del Cristianesimo stesso : questa considerazione doveva essere ben presente all’autore degli Atti quando descrisse Paolo in visita ad Atene, il centro culturale ed intellettuale della Grecia classica ed il simbolo della sua tradizione storica, e lo raffigurò mentre (Atti 17,17) predicava su di un dio ignoto davanti ad un pubblico di filosofi stoici ed epicurei nella sede venerabile dell’Areopago. Paolo cita il verso di un poeta greco “Noi siamo la sua stirpe” (da Arato o da Cleante) ; le sue argomentazioni sono stoiche e volte a persuadere menti filosoficamente educate. Sia che questa celeberrima scena sia storica, sia che sia stata concepita al fine di rappresentare drammaticamente l’inizio della battaglia intellettuale fra Cristianesimo e mondo classico, la scelta del palcoscenico rivela chiaramente in quale senso la intendesse l’autore degli Atti.
L’autore degli Atti dell’apostolo Filippo (Atti apocrifi) fa venire ad Atene il suo protagonista, come Paolo, con chiaro intento imitativo e così gli fa dire : “Sono venuto ad Atene per rivelarvi la paideia di Cristo”. Questo imitatore sottolinea l’intenzione dell’apostolo di far apparire il Cristianesimo come una continuazione della paideia classica dei Greci, così che fosse logico, per coloro che possedevano la più antica, accettare l’altra.